sabato 17 novembre 2007

UNA MUSICA

Non so se avete mai sognato.
Non so se avete mai sentito una certa musica di una certa trasmissione radiofonica a tarda notte.
Ma soprattutto non so, no anzi so, che non avete mai sentito Zeynep cantare quella canzone.
E questo fa la differenza tra i miei ed i vostri sogni.
C'è una trasmissione, come dicevo, che ascoltavo spesso alle due e trenta circa di notte.
La canzone non ha parole, è solo una piccola melodia, che magari non mi sarebbe mai rimasta in mente se a Zeynep non fosse piaciuta e non fosse piaciuto cantarla.
Di solito eravamo a letto, al caldo, e la luce della piccola lampada accanto al letto dalla parte di Zeynep la illuminava, carezzandola e facendo vedere la sua immagine ancora più dolce.
Quando alla radio cominciava quella melodia lei sembrava subito rallegrarsi, la musica era infatti allegra, e cominciava subito a cantarla mormorandola ad alta voce ed assumendo un'espressione rilassata e tranquilla, e dondolava leggermente la testa a tempo; io non sentivo più la radio allora, ma solo la sua voce.
La sua voce era dolce e leggera, ed ora che la devo descrivere tutto diventa difficile, perché la musica, quando è musica, come quella di Zeynep, non è fatta della stessa sostanza delle povere parole.

venerdì 16 novembre 2007

CAMMINARE

Una bottega di elettricisti con un forte e olce odore di colla e polvere, l'hotel Hilton, un cancello scolorito, uno stendipanni che qualcuno ha lasciato in strada per asciugare degli asciugamani, un gatto fuori da un tabaccaio guarda chi entra e chi esce come se li controllasse, un ragazzo vestito alla moda e truccato come una donna, un parcheggio in un piaccola piazza di terrabattuta con un casotto di plasctica dove il custode guarda la televisione, molte porte aperte da cui si vedono le scale dei palazzi con scalini consumati che hanno preso la forma dei piedi di chi è salito e sceso, di solito la luce è poca ma lascia vedere quanto basta per capire che anche se non più nuove, quelle scale sono solide come il corrimano in ferro e l'ascensore che spesso le affianca silenzioso ma buono. Un supermercato appena costruito, macchine costosissime, un lustrascarpe, un cane che gioca con due ragazzi seduti su un marciapiede; una ragazza con una grossa fascia sulla fronte con su scritto freedom in grandi lettere d'orate, un uomo con suo figlio per mano, l'uomo con un vestitto scuro come chi sia appena stato ad un incontro importante, ed il figlio, di circa cinque anni, vestito esattamente come il padre, giacca nera con delle grandi spalle quadrate, pantaloni neri ben puliti e stirati, camicia bianca di cui si può vedere solo il colletto ed una grande cravatta nera il cui nodo copre quasi tutto il collo ed il petto del bambino.
Una bottega di barbieri con clienti che bevono il tè alle nove di sera, fuori dal negozio tre bicchierini di tè con il sottobicchiere appoggiati sul marciapiedi fuori dalla vetrina. Ogni porta di ogni palazzo, anche il più povero ed anche quelli ormai disabitati e cadenti, ha decorazioni in ferro battuto e finestre decorate.
Qui le case e le strade hanno preso la forma che serve alla gente che qui vive; come un abito comodo indossato da centinaia di persone insieme e che sembra scalderà sempre tutti. Cè la sensazione infatti, che le cose sia tanto robuste da non consumarsi.
Gli oggetti e le case sono stati forgiate dalla necessità. Non impota se povere o ricche, sembrano poter durare per sempre, e le nuove costruzioni ed i nuovi negozzi, sicuramente dall'aspetto più ricco, sembrano sempre sull'orlo della distruzione, come se dovessero disfarsi di li a poco.
Un'altra cosa ancora riempie il cuore passando tra queste strade; e cioè la certezza, ripeto, la certezza, che ad Istanbul ogni giorno da sempre centinaia, migliaia di storie vecchie e nuove avvengono, l'una connessa all'altra senza saperlo, e questo non fa sentire soli.

giovedì 15 novembre 2007

TORNATO DA UNA CAMMINATA

Dopo aver camminato per ora per Istanbul, sono tornato con mille idee da scrivere.
Vorrei descrivere la città e le immagini incontrate; ad Istanbul ogni giorno nascono e muoio o crescono migliaia, milioni di storie.
Ci passiamo in mezzo senza accorgersene.

Poi ai a scrivere e trovi paorle che qualcun'altro a scritto e parlano a te come dopo averti conosciuto.

Da "Lavorare stanca": Lavorare stanca di Cesare Pavese.

"Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.

Ci sono d’estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale d’inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c’è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.

Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest’uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa. "


Scrivo ed ascolto Roberto Benigni che legge Dante.
E' come sentire la salute crescere.

mercoledì 14 novembre 2007

NON C'E' MAI STATA DOMENICA.

In pratica al mondo non ci sono mai state domeniche.
Sia in senso laico che religioso la domenica non è mai stata rispettata.
Pensare che sarebe la rivoluzione anarchica per eccelenza.
Ma oggi, maremma, di scrivere non se ne parla.

domenica 11 novembre 2007

LO TOGLIERO' TRA POCO.

Secondo me la televisione è più forte d tutto questo, e la sua mediazione ho paura che finirà per essere tutto. Il potere vuole che si parli in un dato modo, ed è in quel modo che parlano gli operai appena abbandonano il mondo quotidiano familiare o dialettale in estinzione.
In tutto il mondo ciò che si vuole dall’alto è più forte di ciò che viene dal basso, non c’è parola che un operaio pronunci in un intervento che non sia voluta dall’alto; ciò che resta originale nell’operaio non è verbale, per esempio la sua fisicità, la sua voce il suo corpo.
La ferocia era terribile e all’antica; i campi di concentramento dell’U.r.s.s., la schiavitù nelle democrazie orientali, l‘Algeria. Questa ferocia all’antica naturalmente permane, ma, oltre a questa vecchia ferocia c’è una nuova ferocia che consiste nei nuovi strumenti del potere, una ferocia così ambigua, ineffabile, abile, da far si che ben poco di buono rimane in ciò che cade sotto la sua sfera.
Lo dico sinceramente, non considero niente di più feroce della banalissima televisione.
Io da telespettatore la sera prima e una infinità di sere prima le mie sere di malato ho visto sfilare in quel video dove essi erano ora un’infinità di personaggi, la corte dei miracoli d’Italia e si tratta di uomini politici di primo piano, ebbene la televisione faceva e fa di tutti loro dei buffoni, riassume loro discorsi facendoli passare per idioti, col loro sempre tacito beneplacito. Mah. Oppure, anziché esprimere le loro idee, legge i loro interminabili telegrammi, non riassunti evidentemente, ma idioti! Idioti! Come ogni espressione ufficiale!
Il video è una terribile gabbia ce tiene prigioniera dell’opinione pubblica, servilmente servita per ottenere il totale servilismo, l’intera classe dirigente italiana.
Tutto viene presentato come dentro un involucro protettore, col distacco del tono didascalico di cui si discute di qualcosa già accaduta, da poco magari, ma accaduta, che l’occhio del saggio o chi per lui, contempla nella sua rassicurante oggettività, nel meccanismo che quasi serenamente e quasi senza difficoltà reali che l’ha prodotta; in realtà nulla di sostanziale divide i comunicati della televisione da quelli della analoa comunicazione radiofonica fascista, l’importante è una sola cosa, che non trapeli nulla mai di men che rassicurante.
L’ideale piccolo borghese di vita tranquilla e perbene, le famigliemper bene non devono avere disgrazie, si proiette come una specie di furia implacabile in tutti i programmi televisivi e in ogni piega di essi; tutto ciò esclude gli spetttori da ogni partecipazione politica, come al tempo fascista! C’è chi pensa per loro; e si tratta di uomini enza macchia, senza paura e sena difficoltà neanche casuali e corporee.
Da tutto ciò nasce un clima di terrore Io vedo chiaramente il terrore negli ochi delgi intervistatori e degli intervistati ufficiali.
Non va pronunciata un parola di scandalo,praticamente non può essere pronunciata una parola, in qualche modo, vera.

-Pier Paolo Pasolini-

sabato 10 novembre 2007

Tante cose da dire ma oggi solo un'immagine.

giovedì 8 novembre 2007

ORA NON MI TORNA TANTO

Ho trvato una frase che da giorni mi girava in mente e che non ruscivo a ricordare dove l'avevo letta o chi l'avese detta.
Mi girava in testa perchè spiegava ualcosa che da tempo stavo pensando.
L'ho trovata ed era come dovevo immaginare tra le pagine del libro di Berger che sto leggendo.

"Se l'uomo moderno è stato spesso vittima del suo positivismo, è a causa della negazione o abolizione dell tempo creato dall'evento della coscienza".

Ora però non so più perchè mi tornava tanto i mente. Non so bene quale ragionamento ci avevo costruito sopra.
Ma fa comunque piacere aver trovato una idea che chiarisce un pensiero.

C'è anche un'altra frase che ha avuto lo stesso efetto in questo giorni.
"Il visibile esite perchè è stato già visto"
Detto così è una puttanata e verrebbe da non dargli ragione, ma l'ho letto proprio dopo aver saputo di una leggenda o una stora che non si sa bene se vera o no. Quella che i nativi americani quando Colombo arrivò con le navi, non riuscirono a vederle fino a quando uno di loro, il più saggio probabilmente, riuscì ad averve forse più immaginazione di tutti, o al contrario più oggettività, le vide e dopo averle viste disse agli altri come fare a vederle.
Ma all'inizio non le vedevano perchè non le avevano mai viste e non avevano mai visto niente che nemmeno gli somigliasse. Magari nemmeno sapevano come immaginarsi una cosa del genere; quindi i loro occhi e la loro mente erano capaci di vedere le increspature del mare provocarte dalle navi, ma non le navi in lontananza.
Poi le navi arrivarno e li fecero fuori tutti ma quella è un'altra storia. Era megio se qelle navi non ci fossero state davvero.

Ma questo discorso che può sembrare sia una favola per bambini che una leggenda un pò razzista, trova conferma anche nella spiegazone che la scienza da del funzionamento della vista.
Quello che vediamo, dicono, è in buona percentuale frutto della memoria e non della vista oggettiva. Vediamo infatti meglio quello che già conosciamo di quello che non abbiamo mai visto.
Chiunque abbia almeno una volta dipinto o disegnato dl vero, volendo veramente vedere, sa di cosa parlo.

Ora è tardi, devo correre ma il discorso avrebbe bisogno di riflessioni più lunghe e magari riuscirei a spiegare perchè non mi era sembrata una idea tanto idiota.


Tanto per parlare di immagini ne lascio qui una su cui mi piacerebbe lavorare.

ANCORA DA NON LEGGERE

Berger in questi giorni riesc semnpre a parlarmi di quello he sto vivendo.
Ssaranno coincidenze o sarò io che voglio vederla in questo modo ma ci sono altre frasi stamattina che appaioni come se parlassero di miei pensieri.
"Di solito è sempre stto più facile alleviare il dolore che dare piacere o la felicità. L'area del dolore è più facilmente identificabile.
Con una enorme eccezione- il dolore emotivo della perdita, il dolore che rompe un cuore. Quel dolore riempie lo spazio di una intera vita. PUò essere cominciato da un singlo evento ma quell'evento aver prodotto un continuo aumento di dolore. Il dolore diventa inconsolabile.
Quindi cos'è il dolore se non rendersi conto che quello che una volta ci aveva dato piacere o felicità ci è stato per sempre portato via?
La fonte del piacere è il primo mistero."

Non volgio certo essere tanto estremo.
Queste solo le parle i Berger e non dico di esere completamente in quelle condizioni.
Ma le condivido e quello che contnuo a capire come il dolore più grande, è l'irrimediabilità. La perdita o la situazione che non può essere rimediata.
Il dolore più grande è proprio il senrtimento e la sicureza ce non ci saranno modi di riavere quello che era e che ora non c'è.

Anche se posso sembreare troppo letterario, credo sia vero ce l'inferno non è quel luogo buio di chi non ha mai avuto piacere, ma il luogo dove abita chi ha avuto il più grande piacere e sa che non lo potrà più avere.

No certo non sto vivendo situtazioni tanto dolorose, o almeno non voglio smettere di stringere i denti e lasciarmi prendere da tali convinzioni; ma quando si trovano i propri pensieri nelle parole scritte da qualcuno che più di una volta sembra abbia voluto farti vedere che non sei solo, vale la pena farlo sapere.

lunedì 5 novembre 2007

NO ZEYNEP NON LEGGERE

Qualcun altro sta vivendo un mio sogno.

Dico letteralmente. Un mio personalissimo sogno; da lungo immaginato, da lungo desiderato, tanto voluto.
Quei sogni che lasci sempre pronti per ogni giornata fredda; che arrivano a darti una spinta quando tutto va male e sembra proprio di non sapere come uscire da un incubo.
Quel sogno era li, ed arrivava a riscaldarmi e a darmi un po’ di forza per tirarmi su ed andare avanti; era uno di quei sogni che portano sempre il sole con se, ed anche quando tutto va male arrivano e ti abbraccia, e ti dice che magari un giorno si avvererà ed allora andare avanti vale la pena, ed il buio prima o poi passerà.
Ora qualcun altro o sta vivendo. Dopo anni di sofferenze e di sogni.
Dopo tanto tempo in cui ho cercato di realizzarlo stando male perché vedevo che ancora non era tempo che arrivasse; quando sentivo che quel calor che da tanto tempo mi stava accanto nei giorni senza senso, uno sconosciuto in pochi giorni me lo ruba e lo vive al posto mio.
In quel sogno ora c’è qualcun altro.
Chi sia non lo so e non so se lo voglio sapere.
Si dice che gli incubi siano dei brutti sogni.
No. Gli incubi sono la mancanza di sogni; sono il realizzare che il più bello dei sogni può essere realizzato senza di te e diventare per te un incubo che non avresti immaginato nemmeno con la peggiore fantasia.

Mi ha detto sono felice.
E o sarei anche io al poto suo.
Cosa risponderle allora? Dirle i miei problemi sarebbe solo un modo per allontanarla ancora dipiù.

Al telefono mi aveva detto che le cose non andavano bene.
Io la incoraggiavo.
-Vedi- dicevo- che la fatica che fai ora è solo perché sei all’inizio, ma tra pco migliorerà tutto. Hai solo bisogno di energie e vedrai che quello che ora ti sembra brutto poi migliorerà-
MI diceva che si sentiva triste, che le cose erano più difficili di quanto si immaginasse.
Poi mi raccontava delle persone che aveva intorno e quello che facevano.
.Hai anche tanti amici li che ti sono vicini, vedi?-
-Ma non sono la stessa cosa- mi rispose-
-Ma non sono la stessa cosa-.
Allora mi senti caldo dentro.
Mi sentii bene, sentii che il futuro non era tanto brutto, e che di li a poco saremmo stati di nuovo vicini.

Sette giorni dopo. Solo sette giorni dopo. Quel mio segno era già vissuto da qualcun altro. Io ero inutile, lontano appartato, senza un posto dove stare. Ero di troppo.
Quell’abbraccio non era più per me.
L’accoglienza che da mesi mi veniva mostrata non c’era più. Quel posto dove potersi avvicinare e sentire che il futuro non era poi tanto male era già occupato da un altro.
Sogni, immagini, sollievo, idee, voglie, tutto in sette giorni, era stato cancellato.
Senza preavviso. Senza avvertimento.

Ora c’è tutto da ricostruire.

STRONZO

Chi è uno stronzo?

Uno che seduto sulla sua poltrona, nel suo comodo ufficio, in una citgtadina di periferia qualunque, doo essere diventato direttore di una banca, gli prende la voglia di farsi gli affari tuoi e legge, senza che tu lo sappia, i movimenti del tuo bancomat, vede che arrivano dalla Turchia e lui, data la sua limitata inteligenza ed aperrtura mentale per le miriadi di forme che le vite delle persone posono avere, ma capace di concepire la sua misera vita, come unica forma di vita possibile, questo qui insomma decide che se il tuo bancomat è usato in Turchia vuol dire che è stato rubato!
Muove una mano e snza nemmeno alzarsi dalla sedia ti blocca il bancomat.
Resti quindi un venerdì sera enza soldi, senza aver pagato l'albergo, con pèochi vestiti perchè volevi andarli a comprare, a passare le giornate senza muoverti se non per andare a controllare se ora il bancmat è accettato, mangiando solo pane per risparmiare ogni lira, prendendoti un raffreddore che ti fa stare a letto per mancanza di vestiti e perchè ti ritrovi ad uscire la sera anche se piove pur di comprare qualcosa da mangiare che costi poco e bagnandoti completamente se piove.
Ma lui, il direttore della grande banca, ha apena mosso una mano e schiacciato un bottone per rovinarti quei giorni che per te erano tanto importanti. Importanti perchè dopo mesi cercavi tranquilità, ma soprattutto perchè erano giorni, in cui sai di dover contare per il avere un buon futuro, perchè sono giorni che non sai se torneranno, in cui avevi bisogno di fermarti e capire.
Per ora ho capito cosa sia uno stronzo!

UNA VISITA AL LOUVRE

Stasera vorrei scrivere una cosa abbastanza lunga. Tanto lunga che non so se posso.
In pochi la leggerebbero tutta e finirebbe per cancellare le cose scritte prima.
Ma apparte questo il problema che non so se posso legalmente farlo.
Insomma vorrei postare tutto il dialogo che c'è tra Cèzanne e Gasquet nel film "Una visita al Louvre" di Straub and Huillet.
Prima di tutto non so se posso farlo legalmente, ma soprattutoo no so se è poi giusto per gli autori e per l'opera.

venerdì 2 novembre 2007

http://it.youtube.com/watch?v=jAogBSvaSyU