sabato 5 dicembre 2009




Grazie a tutti per essere qui stasera, molte grazie alla città di Sydney e specialmente alla Sydney Peace Foundation per avermi assegnato il Sydney Peace Prize 2009. È un grande onore per me perché mi viene consegnato dal Paese da cui provengo.

Sono australiano della settima generazione. Un mio trisavolo approdò non lontano da qui l’8 novembre 1821. Ai piedi portava catene di 2 chili l’una. Si chiamava Francis McCarty. Era un Irlandese, giudicato colpevole del reato di ribellione e di “dichiarazioni illecite”. Nell’ottobre di quello stesso anno, una 18enne di nome Mary Palmer salì sul banco degli imputati nel carcere del Middlesex e fu condannata alla deportazione nel New South Wales vita natural durante. Il suo crimine era quello di rubare per sopravvivere. Soltanto il fatto che fosse incinta la salvò dalla forca. Era la mia trisnonna.

Dalla nave la portarono alla “Fabbrica Femminile” di Parramatta, una nota prigione dove ogni terzo lunedì del mese i galeotti maschi erano portati per il “giorno di corteggiamento” – un metodo di sviluppo sociale piuttosto disperato. Mary e Francis s’incontrarono così e si sposarono il 21 ottobre 1823.

Cresciuto a Sydney, di questo non sapevo nulla. Gli otto fratelli di mia madre usavano molto spesso la parola “origini”. Tu eri di “buone origini” o di “cattive origini”. Non si parlava del fatto che noi venivamo da “cattive origini” – che avevamo la cosiddetta “macchia”.

Un Natale, con la famiglia al completo, mia madre toccò il tema delle nostre origini criminali e una delle mie zie quasi ingoiò la sua dentiera. “Lasciali riposare in pace, Elsie!” disse. E così facemmo – finché, molti anni dopo, una mia ricerca a Dublino e Londra portò ad un film per TV che rivelò il completo orrore delle nostre “cattive origini”. Ci fu uno scandalo. “Tuo figlio”, scrisse mia zia Vera a Elsie “non è meglio di un maledetto comunista” e minacciò di non parlarci mai più.

Il silenzio australiano ha una caratteristica singolare

Da ragazzino scappavo di nascosto a La Perouse e stavo sulle dune di sabbia a guardare la gente che si diceva fosse estinta. Rimanevo a bocca aperta a guardare i bambini della mia età, che si diceva fossero sporchi e buoni a nulla. Alle scuole superiori lessi un libro del celebre storico australiano Russel Ward, che scrisse: “Oggi noi siamo civilizzati, loro no”. “Loro”, naturalmente, erano gli Aborigeni.

La mia vera educazione in Australia iniziò alla fine degli anni ’60 quando Charlie Perkins e sua madre, Hetti, che Charlie mi descrisse come regina del popolo Aranda, mi portarono all’accampamento aborigeno di Jay Creek nel Northern Territory. Hetti portava un grosso cappello nero ed era seduta davanti nella Ford Falcon che avevamo noleggiato. Quando arrivammo suggerì di buttar giù il cancello per entrare.

Non scorderò mai lo shock che mi provocò quel che vidi. Povertà. Malattie. Disperazione. La rabbia sottaciuta. Cominciai a riconoscere e capire il silenzio australiano.

Questa sera vorrei parlarvi di questo silenzio: come esso influenza la nostra vita nazionale, il nostro modo di vedere il mondo e il modo in cui siamo manipolati da un grande potere, che parla attraverso un invisibile governo di propaganda, che sottomette e limita la nostra capacità di pensare alla politica per assicurarsi che noi siamo sempre in guerra – contro il nostro primo popolo [gli Aborigeni, n.d.t.] e contro chi cerca un rifugio, o nel paese di qualcun altro.

Lo scorso luglio, il primo ministro Kevin Rudd disse così: “È importante per tutti noi qui in Australia ricordare che l’Afghanistan è stato una palestra dove i terroristi internazionali si sono addestrati, una palestra anche per i terroristi del sud-est asiatico, per rammentarci delle ragioni per cui siamo sul campo di battaglia e per riaffermare la nostra determinazione a restare impegnati in quella causa”.

Non c’è verità in questa dichiarazione. Equivale alla menzogna del suo predecessore John Howard, quando disse che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa.

Poco prima che Kevin Rudd facesse quell’affermazione, alcuni aerei americani bombardarono una festa di matrimonio in Afghanistan. Almeno sessanta persone furono annientate, inclusi gli sposi e diversi bambini. Quella era la quinta festa di matrimonio attaccata, nel nostro nome.

Il primo ministro pronunciò il suo discorso sul sagrato di una chiesa una domenica mattina. Nessun cronista gli fece domande scomode. Nessuno disse che la guerra era una frode: che iniziò per una vendetta degli americani dopo l’11 settembre, in cui nessun Afgano era stato implicato. Nessuno fece presente a Kevin Rudd che i nostri nemici dichiarati in Afghanistan sono uomini introversi appartenenti a tribù che non hanno alcuna bega con l’Australia e a cui non importa niente del sud-est asiatico e che vogliono soltanto che i soldati stranieri se ne vadano dal loro Paese.
E soprattutto, nessuno disse: “Primo Ministro, non esiste la guerra al terrore. È una bufala. Ma esiste una guerra di terrore creata da governi, incluso quello australiano, nel nostro nome”. Quella festa matrimoniale, Primo Ministro, è stata annientata da una tra le più evolute armi intelligenti, la bomba Hellfire [Fuoco infernale], che risucchia l’aria dai polmoni. In nostro nome.

Nel corso della prima guerra mondiale, il primo ministro britannico, Lloyd George, confidò all’editore del Manchester Guardian: “Se la gente veramente sapesse (la verità), la guerra finirebbe domani. Ma naturalmente non la sanno, e non la possono sapere.”

Cos’è cambiato? Molto infatti. Dato che la gente è diventata più consapevole, la propaganda si è fatta più sofisticata.

Uno dei fondatori della propaganda moderna è stato Edward Bernays, un Americano che credeva che al popolo in società libere si potesse mentire e che lo si potesse imbrigliare senza che se ne accorgesse. Inventò un eufemismo per propaganda, la chiamò “pubbliche relazioni”, o PR. “Quel che importa – disse – è l’illusione”. Come la conferenza stampa orchestrata per Kevin Rudd davanti a quella chiesa, quel che importa è l’illusione. I simboli dell’ANZAC [acronimo per indicare Australia and New Zealand Army Corps, o “Corpo d’armata di Australia e Nuova Zelanda”, ed è la giornata in memoria dei soldati delle forze armate caduti in battaglia, n.d.t.], sono sistematicamente manipolati a quel modo. Parate. Medaglie. Bandiere. Il dolore della famiglia di un soldato caduto. Servire nell’esercito, dice il primo ministro, è la più alta vocazione in Australia. Lo squallore della guerra, l’uccisione di civili non fanno testo. Quel che conta è l’illusione.

Lo scopo è quello di assicurarsi la nostra silente complicità in una guerra di terrore e nell’enorme incremento dell’arsenale militare australiano. Missili cruise a lungo raggio saranno puntati ai nostri vicini. Il governo Rudd e il Pentagono hanno indetto una gara per la costruzione di robots militari, che, si dice, faranno “il lavoro sporco” dell’esercito in “zone di combattimento urbane”. Quali zone di combattimento urbane? Quale lavoro sporco?

Silenzio.

“Confesso – scrisse Lord Curzon, vicere dell’India più di un secolo fa – che le nazioni non sono che pezzi su un scacchiera su cui si gioca una grande partita per il dominio del mondo”.

Noi Australiani siamo al servizio di questa Grande Partita da molto tempo. I giovani che ogni aprile si drappeggiano con la bandiera di Gallipoli capiscono che sono cambiate soltanto le bugie? – che glorificare i sacrifici di sangue in guerre coloniali non fa altro che prepararci alla prossima guerra?

Quando il primo ministro Robert Menzies mandò i soldati australiani in Vietnam negli anni sessanta, li descrisse come “una squadra di addestramento”, richiesta dal sofferente governo di Saigon. Era una bugia. Un ufficiale superiore del Dipartimento per gli Affari Esterni scrisse la verità segreta: “Per quanto abbiamo ribadito pubblicamente che la nostra assistenza era stata data in risposta ad un invito del governo sudvietnamita, la nostra offerta era in effetti stata fatta a seguito ad una richiesta del governo degli Stati Uniti.”

Due versioni. Una per noi, una per loro.

Menzies parlava incessantemente della “spinta verso il basso del comunismo cinese”. Cosa è cambiato? Davanti alla chiesa Kevin Rudd disse che eravamo in Afghanistan per fermare un'altra spinta verso il basso. Due menzogne.

Durante la guerra del Vietnam, il Ministero degli Affari Esteri fece una rara lamentela a Washington. Denunciò che gli Inglesi conoscevano meglio gli obiettivi dell’America che non i loro fedeli alleati australiani. Un assistente segretario di stato replicò: “Dobbiamo informare gli Inglesi per tenerceli buoni – disse – voi siete con noi, comunque vada”.

A quante guerre ancora dobbiamo essere trascinati dentro prima di rompere il silenzio?

Quante follie ancora dobbiamo sopportare noi, come popolo, prima d’iniziare il lavoro di raddrizzare i torti nel nostro Paese?

“È ora di gridare dai tetti del mondo – diceva Kevin Rudd quand’era all’opposizione – [che] nonostante l’Iraq, l’America è una travolgente forza del bene nel mondo [e] io non vedo l’ora di lavorare con la grande democrazia americana, l’arsenale della libertà…”

Dalla seconda guerra mondiale l’arsenale della libertà ha rovesciato 50 governi, democrazie incluse, e soffocato circa 30 movimenti di liberazione. Milioni di persone nel mondo sono state costrette a lasciare le loro case e assoggettate a sanzioni devastanti. Bombardare è tanto americano quanto la torta di mele.

Nell’accettare il Premio Nobel per la Letteratura nel 2005, Harold Pinter pose questa domanda: “Perché la sistematica brutalità, le grandi atrocità, la crudele repressione del pensiero indipendente della Russia stalinista sono ben risapute in Occidente mentre le azioni criminali americane non sono mai successe? Niente è mai successo. Persino mentre stava succedendo non succedeva. Non importava. Non interessava”.

In Australia ci hanno esercitati a rispettare questo tipo di censura per omissione. Un’invasione non è un’invasione se siamo “noi” a farla. Il terrore non è terrore se siamo “noi”a procurarlo. Un crimine non è un crimine se siamo “noi” a commetterlo. Non è successo. Anche mentre succedeva non è successo. Non importava. Non interessava.

Nell’arsenale della libertà ci sono due categorie di vittime. Gli innocenti uccisi nelle Torri Gemelle erano vittime che pesavano. Gli innocenti uccisi dalle bombe Nato in Afghanistan sono vittime irrilevanti. Gli Israeliani hanno un peso. I Palestinesi non ne hanno. La cosa si fa complessa. I Curdi che si ribellarono a Saddam Hussein avevano un peso. Ma i Curdi che si ribellano al regime della Turchia non ne hanno. La Turchia è membro della Nato. La Turchia fa parte dell’arsenale della libertà.

Il governo Rudd giustifica le sue proposte di spendere miliardi in armamenti riferendosi a quello che il Pentagono chiama un “arco di instabilità” che si estende in tutto il mondo. Pare che i nostri nemici siano dappertutto – dalla Cina al Corno d’Africa. È vero che un arco d’instabilità si estende per tutto il globo, è quello fomentato dagli Stati Uniti. L’aviazione americana lo definisce “dominio totale”. Più di 800 basi americane sono pronte ad entrare in guerra.

Queste basi proteggono un sistema che permette all’uno per cento dell’umanità di controllare il 40 per cento della ricchezza; un sistema che tira fuori dai guai una banca con 180 miliardi di dollari – che basterebbero ad eliminare la malnutrizione nel mondo, dare un’educazione ad ogni bambino e provvedere acqua e igiene per tutti, oltre ad invertire la diffusione della malaria. L’11 settembre 2001 le Nazioni Unite dichiararono che in quel giorno 36.615 bambini erano morti di povertà. Ma questa non era una notizia.

Ai giornalisti e agli uomini politici piace dire che il mondo è cambiato a seguito degli attacchi dell’11 settembre. In effetti, per quei Paesi sotto attacco da parte dell’arsenale della libertà non è cambiato nulla. Cosa è cambiato non fa notizia.

A detta del grande informatore Daniel Ellsberg, negli USA c’è stato un colpo di stato militare ed ora il Pentagono la fa da padrone in ogni settore che riguarda la politica estera.

Non importa chi sia presidente – George Bush o Barack Obama. Infatti, Obama ha inasprito le guerre di Bush e ha iniziato una sua guerra in Pakistan. Come Bush, sta minacciando l’Iran, un Paese che Hillary Clinton ha dichiarato di esser pronta ad “annientare”. Il crimine dell’Iran è la propria indipendenza. Essendosi sbarazzato del tiranno beniamino dell’America, lo Shah, l’Iran è il solo stato musulmano ricco di risorse fuori dal controllo degli Stati Uniti. Non occupa la terra di nessuno e non ha attaccato nessun paese – al contrario di Israele, che ha testate nucleari e domina e divide il medio oriente per conto dell’America.

Non ci dicono queste cose in Australia. Sono tabù. Al contrario, acclamiamo diligentemente l’illusione di Obama, la celebrità globale, il sogno commerciale. Come Calvin Klein, il marchio Obama offre il brivido di una nuova immagine consona alla sensibilità dei liberali, se non dei bambini afgani che bombarda.

Questa è propaganda moderna in azione, che usa una specie di razzismo all’inverso allo stesso modo in cui adopera identità di genere e classe sociale come strumenti di seduzione. Nel caso di Barack Obama cosa importa non è la sua razza o le sue belle parole, ma la classe e il potere che lui serve.

In un articolo per la rivista The Monthly dal titolo “Fiducia nella Politica”, Kevin Rudd scrisse così riguardo ai rifugiati: “Il richiamo biblico di prendersi cura dello straniero tra di noi è chiaro. La parabola del Buon Samaritano non è che una delle molte che parlano del corretto modo di comportarsi con uno straniero vulnerabile tra di noi… Non dobbiamo mai dimenticarci che la ragione per cui esiste una convenzione tra le Nazioni Unite sulla protezione dei rifugiati è in gran parte dovuta all’orrore dell’Olocausto, quando l’Occidente (Australia inclusa) voltava le spalle al popolo ebraico dell’Europa occupata che chiedeva asilo”.

Paragonate questo passaggio alle parole che Rudd pronunciò poco tempo fa: “Non chiedo assolutamente scusa – ha detto – per la linea dura che ho preso verso l’immigrazione illegale in Australia… una linea dura contro chi chiede asilo”.

Non ne abbiamo abbastanza di questo tipo d’ipocrisia? L’uso del termine “immigrato illegale” è falso e vigliacco. Le poche persone che arrivano con difficoltà sulle nostre rive non sono illegali. La legge internazionale è chiara – sono legali. Eppure Rudd, come Howard, gli manda contro la marina e li spedisce in quello che a tutti gli effetti è un campo di concentramento su Christmas Island. Che vergogna. Immaginatevi una nave carica di bianchi che sta fuggendo da una catastrofe per poi essere trattata così.

La gente in quei barconi dimostra quel coraggio, quel fegato che gli australiani dicono di ammirare. Ma questo non basta al Buon Samaritano di Camberra, dato che si comporta allo stesso modo dei bigotti che, come ha scritto nel suo articolo, “voltavano le spalle al popolo ebraico dell’Europa occupata”.

Perché tutto questo non è scandito chiaramente? Perché lasciare che parole ambigue come “protezione dei confini” diventino la valuta di una crociata mediatica contro altri esseri umani, che ci dicono di dover temere, principalmente musulmani? Perché i giornalisti, il cui mestiere dovrebbe essere quello di raccontare le cose come stanno, diventano complici di questa campagna?

Dopotutto, l’Australia ha avuto alcuni dei più aperti e coraggiosi giornali al mondo. Gli editori rappresentavano le persone, non il potere. Il Sydney Monitor, dell’editore Edward Smith Hall, smascherò i modi dittatoriali del Governatore Darling ed aiutò a portare la libertà di parola nella colonia. Oggigiorno, la maggior parte dei media australiani parla per il potere, non per la gente. Sfogliate le pagine dei maggiori quotidiani; guardate le notizie in TV. Così come protezione dei confini abbiamo protezione della mente. C’è un consenso su ciò che leggiamo, vediamo e ascoltiamo; su come dovremmo gestire la nostra politica o vedere il resto del mondo. Frontiere invisibili tengono fuori fatti e opinioni che non sono accettabili.

Effettivamente questo è un sistema grandioso, che non richiede istruzioni, no autocensure. I giornalisti sanno cosa non fare. Naturalmente, adesso che la censura è diretta e cruda. SBS (Special Broadcasting Service, Australia) ha proibito ai suoi giornalisti di usare la frase “terra palestinese” per parlare della Palestina illegalmente occupata. Devono definire quei territori come “l’oggetto di negoziazione”. È come se qualcuno si prendesse la vostra casa a mano armata e il giornalista della SBS lo descrivesse il fatto come “l’oggetto di negoziazione”.

In nessun altro Paese democratico la discussione pubblica riguardante la brutale occupazione della Palestina è così limitata come in Australia. Siamo coscienti della vastità dei crimini contro l’umanità commessi a Gaza? Ventinove membri di una famiglia – bambini, nonne – sono abbattuti, fatti saltare per aria, sepolti vivi, la loro casa livellata dalle ruspe. Leggetevi il rapporto, scritto da un eminente giudice israeliano, Richard Goldstone.

Quelli che parlano per l’arsenale della libertà stanno lavorando alacremente per insabbiare il resoconto delle Nazioni Unite. Perché soltanto una nazione, Israele, ha il “diritto di esistere” in Medio Oriente. Solo una nazione ha il diritto di aggredire gli altri. Solo una nazione ha l’impunità nell’esercitare un regime di discriminazione razziale con l’approvazione del mondo occidentale, e col primo e vice primo ministro australiani prostrati in adulazione dei suoi leader.

In Australia, qualsiasi digressione da questa tacita regola, da questa impunità, si attira una vile campagna di insulti e intimidazioni personali normalmente associata ad una dittatura. Ma noi non siamo una dittatura. Siamo una democrazia.

Lo siamo davvero?

O siamo piuttosto una murdochrazia.

Rupert Murdoch ha stabilito l’agenda di guerra dei media poco prima dell’invasione dell’Iraq quando disse: “Ci saranno danni collaterali. E se vogliamo essere brutali a questo riguardo, è meglio farli subito”.

Più di un milione di persone sono state ammazzate in Iraq a causa di quell’invasione: “una vicenda – secondo uno studio – più funesta del genocidio del Rwanda”. Nel nostro nome. Siamo coscienti di questo in Australia?

Tempo fa camminavo per Mutanabi Street, a Bagdad. L’atmosfera era bellissima. La gente sedeva nei bar, leggeva. Musicisti suonavano. Poeti recitavano. Pittori dipingevano. Questo era il cuore culturale della Mesopotamia, della grande civiltà cui noi in Occidente dobbiamo moltissimo, inclusa la scrittura. La gente con cui parlavo era Sunnita, Shiita, ma si dichiaravano Iracheni. Erano colti e orgogliosi.

Oggi sono o fuggiti o morti. Matanabi Street è stata distrutta. A Bagdad i grandi musei e biblioteche sono depredati. Le università saccheggiate. E persone che un tempo s’incontravano per un caffè, e si sposavano tra loro, sono state trasformate in nemici. “Costruiamo la democrazia” dissero Howard, Bush e Blair.

Una delle opere teatrali di Harold Pinter che prediligo è “Party Time”. Si svolge in un appartamento in una città come Sydney. È in corso una festa. Gli invitati bevono buon vino e mangiano tartine. Sembrano felici. Chiacchierano e sorridono affabilmente. Sono eleganti e sicuri di sé.

Ma qualcosa succede fuori per strada, qualcosa di terribile, opprimente, ingiusto, qualcosa di cui i partecipanti alla festa sono corresponsabili.

C’è un fugace senso di disagio, un silenzio, prima che il chiacchiericcio e le risate riprendano.

Quanti di noi vivono in quell’appartamento?

Lasciatemelo dire in un altro modo. Conosco una bravissima giornalista israeliana che si chiama Amira Hass. Lei è andata a vivere e a corrispondere da Gaza. Le ho chiesto perché lo ha fatto. Mi ha spiegato che sua madre, Hannah, da un vagone bestiame, era stata incolonnata e avviata a passo di marcia verso il campo di concentramento nazista di Bergen-Belsen quando vide un gruppo di donne tedesche che guardavano i prigionieri, li guardavano soltanto, senza parlare, in silenzio. Sua madre non dimenticò mai quello che chiamò questo deprecabile “guardare obliquamente”.

Io credo che se gestissimo le vicende umane con giustizia e coraggio, cominceremmo a dare un senso al nostro mondo. Allora, e solo allora, potremo progredire.

Tuttavia, se applichiamo la giustizia in Australia diventa complicato, vero? Perché allora saremmo obbligati a rompere il nostro silenzio più grande – a non più “guardare obliquamente” nel nostro stesso Paese.

Negli anni ’60, quando per la prima volta mi recai in Sud Africa per scrivere sull’apartheid, fui accolto da persone perbene, liberali, il cui silenzio complice era però alla base di quella dittatura. Mi dissero che australiani e sudafricani bianchi avevano molto in comune, ed avevano ragione. Quelle brave persone di Johannesburg potevano vivere entro pochi chilometri da una comunità chiamata Alexandra, dove mancavano i servizi primari, dove i bambini erano afflitti da malattie. Ma loro guardavano obliquamente, e non facevano nulla.

In Australia, la nostra indifferenza è diversa. Ci siamo specializzati nel dividere e dominare, dando sostegno a quegli Australiani neri che ci dicono quel che vogliamo sentire. In conferenze professionali i loro discorsi di base sono applauditi, specialmente quando incolpano il loro stesso popolo, fornendoci le scuse di cui abbiamo bisogno. Creiamo comitati e assemblee gestiti da gente piacevole, liberale, come la moglie del primo ministro, ma non cambia niente.

Certamente a noi non piacciono paragoni con il Sud Africa dell’apartheid. Ciò spezza il silenzio australiano.

Verso la fine dell’apartheid, i Sudafricani neri venivano imprigionati alla media di 851 ogni 100.000 persone. Oggi, gli Australiani neri sono imprigionati ad una media nazionale cinque volte più alta. L’Australia occidentale imprigiona gli aborigeni otto volte di più del regime dell’apartheid.

Nel 1983, Eddie Murray fu ucciso in una cella della polizia a Wee Waa, nel New South Wales, da “persona o persone sconosciute”. Così asserì il medico legale. Eddie era una stella nascente del rugby. Ma era nero e dovevano dargli una lezione. I genitori di Eddie, Arthur e Leila Murray, promossero una delle più tenaci e coraggiose campagne per ottenere giustizia che io abbia mai visto. Si confrontarono con le autorità. Dimostrarono compostezza, pazienza e competenza. E non si dettero mai per vinti.

Quando nel 2003 Leila morì, scrissi un tributo per il funerale. La descrissi come un’eroina australiana. Arthur si sta ancora battendo per ottenere giustizia. Ha più di sessant’anni. È un anziano rispettato, un eroe. Qualche mese fa la polizia di Narrabi gli offrì un passaggio a casa, ma gli fecero invece fare una corsa violenta a bordo del loro bullwagon. Lui finì in ospedale, ferito e malconcio. È così che sono trattati gli eroi australiani.

La settimana stessa in cui la polizia si comportò a quel modo – come fa quasi ogni giorno con gli australiani neri – Kevin Rudd disse che il suo governo, e cito: “non ha un’idea chiara di quel che succede sul terreno” nell’Australia degli Aborigeni.

Quanta informazione deve reperire il primo ministro? Quante idee? Quanti comunicati? Quante commissioni reali? Quante inchieste? Quanti funerali? Non lo sa che a livello internazionale l’Australia fa parte di una “lista nera” per non aver eradicato il tracoma, una malattia evitabile associata alla povertà, che colpisce i bambini aborigeni rendendoli ciechi?

Nell’agosto di quest’anno le Nazioni Unite ancora una volta hanno segnato l’Australia con lo stesso marchio di vergogna riservato al Sud Africa. In parole povere, noi discriminiamo in base alla razza. Questa volta le Nazioni Unite hanno denunciato il cosiddetto “intervento”, la campagna di diffamazione ai danni delle comunità aborigene iniziato dal governo Howard nel Northern Territory consistente in accuse di schiavitù sessuale e pedofilia in un “numero inconcepibile” di casi, secondo il ministro per gli affari indigeni.

Nel maggio dell’anno scorso dati ufficiali furono resi noti, e quasi ignorati.

Su 7433 bambini aborigeni esaminati dai dottori, furono riportati alle autorità 39 casi di sospetto abuso. Di questi, un massimo di quattro possibili casi furono identificati. Alla faccia del “numero inconcepibile” di casi. Naturalmente l’abuso di minori esiste in Australia, sia tra i neri che tra i bianchi, la differenza sta nel fatto che nessun soldato è piombato sulle periferie di North Shore, nessun genitore bianco allontanato con la forza, nessun ufficio “bianco” del welfare è stato messo in quarantena. Che cosa hanno trovato, i dottori già lo sapevano, cioè che i bambini aborigeni sono sì a rischio, ma per effetto della povertà estrema e per il diniego di risorse, e questo in uno dei Paesi più ricchi al mondo.

Miliardi di dollari sono stati spesi – non per lastricare strade o costruire case – ma nel condurre una guerra di attrito a livello legale contro le comunità nere. Ho intervistato un capo aborigeno che si chiama Puggy Hunter. Aveva una ventiquattrore rigonfia ed era seduto, con la testa fra le mani, nel caldo dell’Australia occidentale.

Gli dissi: “Sei sfinito!”

Replicò: “Guarda, ho passato la maggior parte della mia vita in riunioni, a battermi con avvocati, a invocare il nostro diritto di nascita. Sono proprio stanco da morire, amico”. Morì poco tempo dopo, quarantenne.

Kevin Rudd ha chiesto formalmente scusa ai Primi Australiani. Ha usato belle parole. Per molti aborigeni, che danno valore al processo di riparazione, le scuse erano molto importanti. Il Sydney Morning Herald ha pubblicato un editoriale molto onesto. Descriveva l’atto di scusa come “un pezzo di relitto politico” che “il governo Rudd ha fatto presto a rimuovere… in modo da rispondere ai bisogni emotivi di parte del suo elettorato”.

Dal giorno delle scuse, la povertà tra gli Aborigeni è peggiorata. Il programma abitativo promesso è un triste scherzo. Né si è colmato alcun tipo di divario. Al contrario, il governo federale ha minacciato le comunità del Northern Territory che se non avessero consegnato i loro preziosi contratti di locazione, sarebbero stati negati loro i servizi primari che noi, nell’Australia bianca, diamo per scontati.

Negli anni ’70 alle comunità aborigene erano stati concessi i diritti a vaste estensioni di terra nel Northern Territory, e John Howard si diede da fare per riprenderseli con la corruzione e la prepotenza. Il governo laburista sta facendo lo stesso. Vedete, ci sono affaroni da farsi. Il Northern Territory è straordinariamente ricco di minerali, in special modo di uranio. Le terre degli aborigeni sono perfette per scaricarci scorie radioattive. Si tratta di affari d’oro, e le ditte straniere ne vogliono far parte.

È il proseguimento del lato più oscuro della storia della nostra colonizzazione: l’estorsione della terra altrui.

Dove sono le voci autorevoli del dissenso? Dove sono i legali più prestigiosi? Dove sono quelli che tra i media ci ripetono in continuazione quanto siamo imparziali?

Silenzio.

Ma non ascoltiamolo questo loro silenzio. Elogiamo invece quegli Australiani che non stanno in silenzio, che non guardano obliquamente– quelli come Barbara Shaw e Larissa Behrendt, e i capi della comunità Mutitjulu con il loro tenace avvocato George Newhouse, e Chris Graham, l’impavido editore del National Indigenous Times, e Michael Mansell, Lyle Munro, Gary Foley, Vince Forrester e Pat Dodson, e Arthur Murray.

Commemoriamo lo storico dell’Australia Henry Reynolds, che con coraggio e verità si oppose ai sostenitori della supremazia bianca che si atteggiano ad accademici e giornalisti. E i giovani che chiusero il campo di prigionia di Woomera e che poi si confrontarono coi teppisti politici che occuparono Sydney durante l’Apec Day di due anni fa. E il bravissimo Ian Thorpe, il grande nuotatore, la cui voce alzata contro “l’intervento” non ha ancora trovato un’eco tra gli adulati eroi sportivi in un Paese in cui il divario tra impianti sportivi ed opportunità per bianchi e per neri si è solo colmato impercettibilmente.

I silenzi possono essere spezzati, se lo vogliamo. In uno dei più grandi poemi in lingua inglese, Percy Shelley scrisse:

Alzatevi come leoni dopo il sonno
In numero incalcolabile
Scrollate le catene a terra come rugiada
Che cadde su di voi mentre dormivate
Voi siete molti – loro pochi.

Ma bisogna fare in fretta. Sta compiendosi un mutamento storico; le grandi democrazie occidentali si stanno muovendo verso un corporativismo. La democrazia è diventata un piano d’impresa, con la fine di ogni attività umana, ogni sogno, ogni decenza, ogni speranza. I principali partiti parlamentari sono ora dediti alle stesse politiche economiche – socialismo per i ricchi, capitalismo per i poveri – e la stessa politica estera volta a servire la guerra infinita.

Questa non è democrazia. È l’equivalente politico di ciò che McDonalds è per il cibo.

Come cambiare? Cominciamo a guardare oltre gli stereotipi e i cliché che ci rifilano come notizie. Tom Paine ci ha messi in guardia molto tempo fa che se ci fosse negata la conoscenza critica, noi dovremmo assaltare quello che lui chiamò la Bastiglia delle parole.

Tom Paine non aveva Internet, ma Internet non basta.

Abbiamo bisogno di una glasnost australiana, la parola russa dell’era di Gorbachov, che in sostanza significa risveglio, trasparenza, diversità, giustizia: a cui io aggiungerei disobbedienza.

È stato Edmond Burke a definire la stampa come il Quarto Potere. Io propongo di avere un Quinto Potere per il popolo, che controlli, dissezioni e contrasti le notizie ufficiali. In ogni redazione, in ogni collegio mediatico, bisogna mettere alla prova gli insegnanti di giornalismo e i giornalisti stessi circa il ruolo che svolgono negli spargimenti di sangue, nell’ingiustizia e nel silenzio che così spesso fanno passare per normali.

Non è il pubblico il problema; è vero, a qualcuno non importa niente – ma a milioni sì, come vedo dalle reazioni ai miei film. Cosa vuole la gente è essere partecipe – avere la percezione che le cose sono importanti, che niente è immutabile, che la disoccupazione tra i giovani e la povertà tra gli anziani sono cose incivili e sbagliate. Ciò che terrorizza gli agenti del potere è il risveglio del popolo che ritrovi la consapevolezza; che scopra che c’è un seme sotto la neve.

Questo sta già succedendo nei paesi latino americani dove gente comune ha scoperto una fiducia in se stessa che non sapeva di avere. Dovremmo unirci a loro prima che la nostra libertà di parola ci sia tacitamente sottratta e il vero dissenso sia bandito per legge mentre i poteri della polizia si espandono.

“La lotta del popolo contro il potere – scrisse Milan Kundera – è la lotta della memoria contro l’oblio”.

Abbiamo molto di cui essere orgogliosi in Australia – se soltanto lo sapessimo e festeggiassimo. Da quando Francis McCarty e Mary Palmer approdarono qui, abbiamo progredito soltanto perché la gente si fece sentire, soltanto perché le suffragette si ribellarono, soltanto perché i minatori di Broken Hill ottennero la prima settimana di 35 ore al mondo, soltanto perché pensioni, paga base e assegni familiari videro la luce qui nel New South Wales.

Nel corso della mia vita l’Australia è diventata uno dei posti più culturalmente vari al mondo, ed è accaduto più o meno pacificamente. È un successo notevole – fino a che cerchiamo quelli la cui civiltà australiana non è quasi mai stata riconosciuta, il cui genio per sopravvivenza, la cui generosità e la cui indulgenza sono state raramente motivo di orgoglio. Eppure restano, come scrisse Henry Reynolds, il mormorìo nei nostri cuori. Perché essi sono cìò che ci rende unici.

Credo che la chiave per il rispetto di noi stessi, il nostro retaggio per le future generazioni sia l’integrazione e il risarcimento dei Primi Australiani. In parole povere, giustizia. Non c’è mistero riguardo a cosa si deve fare. Il primo passo è un trattato che garantisca i diritti universali alla terra e la spartizione equa delle risorse di questo paese.

Soltanto allora potremo risolvere, insieme, questioni come salute, povertà, abitazioni, istruzione, occupazione. Soltanto allora potremo sentire un orgoglio che non proviene da bandiere, o da guerre. Soltanto allora potremo diventare una Nazione veramente indipendente, capace di parlare di ragionevolezza e di giustizia nel mondo, ed essere ascoltati.


John Pilger
Fonte: www.johnpilger.com
Link: http://www.johnpilger.com/page.asp?partid=555
5.11.2009

Tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA

mercoledì 18 novembre 2009

Ricchi o deficenti?

Gentili ricchi e potenti.
Ho una notizia che non vorrete sentire; credo però sia meglio che ascoltiate quello che ho da dirvi.
E' una notizia molto semplice e di facile deduzione. Mi è bastato osservarvi, osservare le vostre abitudini, anche se vi nascondete a noi persone comuni, paragonarvi ad una persona qualunque per capire.
Per capire cosa?
Per capire che vivete come delle malati!

Rifletteteci anche solo un secondo.
Avete automobili che vi tolgono il fastidio di camminare e che altri giudano. Ascensori che salgono le scale per voi, usceri che vi aprono la porta.
Avete chi per voi cucina, chi per voi va a fare la spesa, chi per voi pulisce casa vostra, chi lava i vostri vestiti, chi areda le vostre case e sposta i mobili, chi per voi va a comprare i biglietti se volete andare a teatro, avete chi per voi telefona, chi parla con persone a cui non volete parlare, chi paga il conto del ristorante in cui mangiate, chi cresce i vostri figli, chi fa passeggiare i vostri animali.

Rifletteteci.
Chi, oltre a voi, vive in questo modo?
Chi ha sempre bisogno che qualcun'altro faccia qualcosa per lui?
Chi se non un handicappato?
E voi questo siete!
Degli handicappati felici e contenti!

"Rise like Lions after slumber
In unvanquishable number -
Shake your chains to earth like dew
Which in sleep had fallen on you -
Ye are many - they are few."

"Alzatevi come leoni dopo il sonno
In numero incalcolabile -
Scrollate le catene a terra come rugiada
Che cadde su di voi mentre dormivate
Voi siete molti – loro pochi".

-Mary Percy Shelley-

lunedì 12 ottobre 2009

Grazie a Carlo Emilio Gadda.

«Camerieri neri nei “restaurants”, avevano il frac, per quanto pieno di padelle: e il piastrone d’amido, con cravatta posticcia. […]
Si, si erano consideratissimi, i fracs. Signori seri, nei “restaurants” delle stazioni, e da prender sul serio, ordinavano loro con perfetta serietà “un ossobuco con risotto”. Ed essi, con cenni premurosi, annuivano. E ciò nel pieno possesso delle rispettive facoltà mentali. Tutti erano presi sul serio: e si avevano in grande considerazione gli un gli altri. Gli attavolati si sentivano sodali nella eletta situazione delle poppe, nella usucapzione d’un molleggio adeguato all’importanza del loro deretano, nella dignità del comando gli uni si compiacevano della presenza degli altri desiderata platea e a nessuno veni fatto di pensare, sogguardando il vicino “quanto è fesso!”. Dietro l’Hymalaia dei formaggi, dei finocchi, il guardialsala notificava le partenze: “¡Para Corrientes y Reconquista! ¡Sale a las diez el rápido de Paraná! ¡Tercero andén!”.
Per lo più, il coltello delle frutta non tagliava. Non riuscivano a sbucciar la mela. O la mela gli schizzava via dal piatto come sasso di fionda, a rotolare fra scarpe lontanissime. Allora, con voce e dignità risentita, era quando dicevano: “Cameriere! ma questo coltello non taglia!”. Tra i cigli, improvvisa, una nuvola imperatoria. E il cameriere accorreva trafelato con altri ossibuchi ed esternando tutta la sua costernazione, la sua piena partecipazione umiliava sommessa istanza appiè il coruccio delle Loro Signorie: (in un tono più che sedativo): “provi questo, signor Cavaliere!”: ed era già trasvolato. Il quale “questo” tagliava ancora meno di quel di prima. Oh, rabbia! mentre tutti, invece, seguitavano a masticare, a bofonchiare, addosso agli ossi scarnificati, a intingolarsi la lingua, i baffi. Con un sorriso appena, oh, un’ombra, una prurigine d’ironia, la coppia estreme ed elegantissima, lui, lei, lontan lontano, avevan l’aria di seguitar a percepire quella mela, finalmente immobile nel mezzo la corsia: lustra, e verde come l’avesse pitturata il De Chirico. Nella quale, bestemmiando sottovoce, alla bolognese, ci intoppavano ogni volta le successive ondate dei fracs-ossubuchi, per altro con lesti calci in discesa, e quasi in rimando, l’uno all’altro: alla Meazza, alla Boffi. […]
Tutti, tutti: e più che mai quei signori attavolati: tutti erano consideratissimi! À nessuno, mai, era mai venuto in mente di sospettare che potessero anche essere dei bischeri, putacaso dei bambini di tre anni.
Nemmeno essi stessi, che pure conoscevano a fondo tutto quanto li riguardava, le proprie unghie incarnite, e le verruche, i nei, i calli, un per uno, le varici, i foruncoli, i baffi solitari: neppure essi, no, no, avrebbero fatto di se medesimi un simile giudizio.
E quella era la vita.
Fumavano. Subito dopo la mela. Apprestandosi a scaricare il fascino che da lunga pezza oramai, cioè sin dall’epoca dell’ossobuco, si era andato a mano a mano accumulando nella di loro persona – ( come l’elettrico nelle macchine a strofinio) – ecco, ecco, tutti eran certi che un loro impreveduto decreto avrebbe lasciato scoccare sicuramente la importantissima scintilla, folgore e sparo di Signoria su adeguato spinterogeno ambientale, di forchette in travaso. Cascate di posate titinnanti! Di cucchiaini!
Ed erano appunto in procinto di addivenire a quell’atto imprevisto, e però curiosissimo, ch’era così instantemente evocato dalla tensione delle circostanze.
Estraevano, con distratta noncuranza, di tasca, il portasigarette d’argento: poi dal portasigarette, una sigaretta, piuttosto piena e massiccia, col bocchino di carta d’oro; quella te la picchiettavano leggermente sul portasigarette, richiuso nel frattempo dall’altra mano, con un tatràc; la mettevano ai labbri; e allora, come infastiditi, mentre che una sottil ruga orizzontale si delineava sulla lor fronte, onnubilata di cure altissime, riponevano il trascurabile portasigarette. Passati alla cerimonia dei fiammiferi, ne rinvenivano finalmente dopo aver cercato in due o tre tasche, una bustina a matrice: ma, apertala, si constatava che n’erano già stati tutti spiccati, per il che con dispitto, la bustina veniva immantinenti estromessa dai confini dell’Io. E derelitta, ecco giaceva nel piatto, con bucce. Altra, infine, soccorreva, stanata ultimamente dal 123° taschino. Dissigillavano il francobollo-sigillo ubiqua immagine del Fisco Uno e Trino, fino a denudare in quella pettinetta miracolosa la Urmutter di tutti gli spiritelli con capocchia. Ne spiccavano una unità, strofinavano, accendevano; spianando a serenità nuova la fronte, già così sopraccaricata di pensiero: (ma pensiero fessissimo, riguardante, per lo più, articoli di bigiutteria in celluloide). Riponevano la non più necessaria cartina in una qualche altra tasca: quale? Oh! Se ne scordano all’atto stesso per aver motivo di rinnovare ( in occasione d’una contigua sigaretta) la importantissima e fruttuosa ricerca.
Dopo di che, oggetto di stupefatta ammirazione da parte degli “altri tavoli”, aspiravano la prima boccata di quel fumo d’eccezione, di Xanthia, o di Turmac; in una voluttà da sibariti in trentaduesimo, che avrebbe fatto pena a un turco stitico.
E così rimanevano: il gomito appoggiato sul tavolino, la sigaretta fra medio e indice emanando voluttuosi ghirigori; mescolati di miasmi, questo si sa, dei bronchi e dei polmoni felici, mentre che lo stomaco era tutto messo in giulebbe, e andava dietro come un disperato ameboide a mantrugiare e a peptonizzare l’ossobuco. La peristalsi veniva via con un andazzo trionfale, da parer canto e trionfo, e presagio lontano di tamburo, la marcia trionfale dell’Aida o il Toreador della Carmen.
Così rimanevano a guardare. Chi? Che cosa? Le donne? Ma neanche. Forse a rimirare se stessi nello specchio delle pupille altrui. In piena valorizzazione dei loro polsini, e dei loro gemelli da polso. E della loro faccia di manichini ossibuchivori».

martedì 22 settembre 2009

Mal di denti.

Qualche tempo fa ho incontrato un amico per strada.
Si capiva subito che non stava bene e gli chiesi cosa avesse.
Mi disse che aveva un gran mal di denti e stava correndo a curarsi.
Si vedeva bene che soffriva, questo era chiaro, ma quello che mi meravigliava era la dignità con cui lo mostrava.
In una strada fatta di luci e colori, con negozzi di lusso e vetrine con manichini sorridenti, cartelloni con modelli abbronzati e passanti con gli auricolari che muovono la testa a tempo, in questa situazione dicevo, uno che ha mal di denti stona proprio. E ancora dipiù se non lo nasconde.

Ci salutammo e lui continuò per la sua strada.

L’altra sera mi è iniziato un gran mal di stomaco. Enorme, fortissimo, insopportabile. Ho subito pensato al mio amico e sono corso da un dottore. Non conoscendone nessuno decisi di andare all’ospedale. Camminavo per strada con le braccia ben strette intorno allo stomaco. Ad ogni passo mi accorgevo degli sguardi duri che mi incrociavano.
Arrivato all’ospedale un dottore mi chiese cosa avessi ed io con le mani premute sullo stomaco gridavo: ”Ho mal di denti! Ho mal di denti!”
“Se ha mal di denti”- mi fa lui- “non è da me che doveva venire. L’accompagno da un dentista”.

Sul lettino del dentista il dolore era anche peggio. Sdraiato in quella posizione non riuscivo a stare fermo e mi contorcevo mentre quello mi diceva: “Per favore apra la bocca e non si muova.”
“Ma i suoi denti stanno benissimo” fa quello dopo avermi visitato, “se proprio sta così male le darò qualche antidolorifico, ma non esageri, fanno bene ai denti ma molto male allo stomaco”.

Da giorni prendo quelle pillole che mi ha dato il dentista. Non esco di casa, non mi alzo da letto, posso solo girarmi e rigirarmi stringendo i denti dal dolore allo stomaco che è ormai diventato insopportabile.

Perchè è così difficile, mi domando; perchè è così difficile curare un mal di denti!

martedì 15 settembre 2009

Vediamo chi sono questi signori.


In questi giorni sto cercando di scrivere, anche se in modo molto conciso, un testo su come il mondo dell'arte sia in realtà una enorme collusione di interessi privati di massoni, multinazionali, banche e politici che tutto fanno tranne che elevare il lato artistico delle persone che volgiono esprimersi. Come è chiaro a chi vuol vedere, quei gruppi di potere sono proprio quelli che da sempre si battono per non lasciarci esprimere liberamente o il loro potere diminuirebbe.
Da due anni vivo ad Istanbul e proprio in questo periodo si apre la nuova biennale di arte internazionale. Istantaneamente il quaritere in cui vivo, molto vicino al quartiere della biennale, e che solitamente è frequentato da quelli che vengono chiamati giovani, si è riempito di uomini d'affari da tutto il mondo. Basta andare a prendere un caffè la sera e li trovi in tutti i locali più famosi. Li riconosci benissimo. Ho attaccato bottone con uno di loro e come immaginavo appena gli ho detto di essere un pittore mi ha risposto in tono acidamente ironico ed arrogante che ormai è roba vecchia e questo tipo di comunicazione non si fa più.
La massa, dice lui, è ignorante ed apprezza solo l'artigianato ma non l'arte che invece è per una elite di persone che conosce il linguaggio a cui riferirsi. Video, installazioni, performance, hanno un nuovo linguaggio che solo una elite può capire. Questa quindi l'idea sua e di chi è al comando del grande meccanismo di mostre e gallerie internazionali. Il signore in questione è curatore della seguente mostra http://www.manifesta7.it/ e vi invito a guardare chi sono i finanziatori. Unicredt in prima linea.

Molte banche infatti cominciano ad avere la propria galleria o la propria catena di gallerie d'arte.
Cosa che in me provoca disgusto.

Questo è il sito della biennale di cui vi parlavo.
http://www.iksv.org/bienal11/giris_en.html
Sapete come l'hanno intitolata? "What keeps mankind alive?" frase de "L'Opera da tre soldi" di Brecht. Ci prendono anche in giro!
Sapete chi è il primo finanziatore della biennale? La banca Koc famosa per il traffico di armi come molte altre banche.
E' davvero degradante vedere migliaia di giovani che in nome dalla ribellione e della libera espressione cadono nella trappolla e diventano servitori e sostenitori di questo sistema.
Infatti tutto è venduto in nome del nuovo e della libertà!
Questi giovani ribelli, ignoranti di storia dell'arte, vedono chi è contrario a questo sistema artistico come un vecchio conservatore.
Questi curatori usano un arma molto semplice. La paura per la povertà e per l'anonimato.
Come diceva Pasolini trenta anni fa, le nuove generazioni disprezzano i poveri e gli anonimi. Per questo sono generazioni di cretini. Quindi una delle basi di questo meccanismo dell'arte è divulgare la paura e il disprezzo per anonimato e povertà.
Un comportamento ignobile.
Solitamente mi sento rispodere da chi è nell'ambiente: è così che vanno le cose! Che ci vuoi fare! Non puoi starne fuori!

Non c'è bisogno nemmeno di rispondere a certi argomenti, ma per chi ne avesse bisogno voglio chiarire che chi si giustifica in questo modo è solitamente un codardo. Terrorizzato da non poter frequentare locali alla moda e vedere il proprio nome sui giornali. Di questi personaggi ce ne sono molti; troppi. Si vantano di essere cinici illudendosi di essere realistici, quando invece sono solo servi consenzienti, vigliaccamente convinti che se il sistema in cui viviamo ha dei lati negativi, non saranno certo loro a pagarne le conseguenze.
So che dire tutto questo può farmi avere nemici, però se dei nemici devono esserci è meglio trovarli in giro ogni tanto che nello specchio ogni mattina.

Come dicevo sto quindi cercando più documenti possibili per capire chi veramente sta controlando il sistema dell'arte oggi. E chiedo a chiunque di aiutarmi se avesse idee a riguardo.
Concludo con un nuovo libro di Jean Clair che molto fa discutere: "La crisi dei musei". Questi sono due siti che ne parlano, uno a favore ed uno contrario; ma ovviamente siamo noi, dopo aver letto il libro, a dover decidere.
http://www.teknemedia.net/magazine_detail.html?mId=6096

http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2006-04/clair.htm

A presto!

sabato 12 settembre 2009

Chi sono questi signori?

Iniziamo dicendo che sto probabilmente perdendo tempo a parlare di persone con cui non prenderei neanche un caffè ed a cui fa comodo avere pubblicità, bella o brutta che sia.
La biennale fa veramente schifo e soprattuo chi la organizza.
Appena 12 ore fa sono stato gentilmente umiliato per il semplice fatto che dipingo.
Questo bravo e famoso curatore parlava della pittura come qualcosa di idiota, fatta da idioti, per idioti.
Questo gentile signore con tanto di occhiali firmati parlava di come la massa non potesse capire l'arte e di come quindi solo una elite di superiori può apprezzare quello che lui ed i suoi amici fanno.
Le sue parole erano talmente assurde che non ho saputo rispondere. Mi lanciava occhiate di traverso con sorrisini sarcastici mentre parlava ad una ragazza accanto a me.
Questi gentili signori della elite poi si permettono di costruire le loro biennali su parole di Brecht.
Si si avete letto bene; sputano sulla massa e citano Brecht.
Stanotte ripensandoci non riuscivo aprendere sonno e l'unica spiegazione che sono riuscito a trovare è che un tale pensiero nasce da una profonda frustrazione del propio potenziale umano, questo signore ha infatti poi candidamente ammesso di aver iniziato come pittore ma di non essere riuscito a fare niente di buono, e da una completa incapacità a digerire tale frustrazione. L'unica soluzione è quindi quella di convincersi di essere eletti. Convincersi che i propri limiti sono in realtà quello che ci innalza sopra a tutto e tutti.
Come chi si crede troppo inteligente per amare ma invece è solo incapace di avere sentimenti umani. Ma preferisce costruire tutta la sua vita su l'idea che chi ama è un idiota, invece di dover affrontare la dolorosa realtà di non essere umano.

Ma meglio andare con ordine e lasciare a più avanti l'intero discorso.

martedì 1 settembre 2009

Ogni periodo ha il proprio stile.

"La nostra è un'epoca di mercati- un'epoca di bazar.
Questo caratterizza il tempo in cui viviamo.
Le grandi gallerie d'arte sono soltanto luoghi di mercato. Nei quali l'arte è messa in vendita per la borghesia bramosa di acquistare.
L'arte contemporanea è sotto il giogo della peggiore congrega di capitalisti- la borghesia.[...]
Quando le gallerie d'arte saranno finalmente abolite, o verrà data loro la collocazione che meritano -il bazar dell'arte- probabilmente le mostre artistiche potranno usufruire di migliori possibilità.
Dipingere cartoline di Natale è un'occupazione orribile per un artista. Come se un musicista dovesse comporre partiture per suonatori di organetto.
I giornali scrivono. Si meravigliano che questi signori non sfornino più dipinti- perchè mai- almeno alcuni... Non è più arte. Intagli. Litografie. Incisioni.
Approposito. Le nostre gallerie d'arte hanno cominciato a riempirsi di cartoline natalizie in formato gigante. Ritenendo che un tal genere di opere conferiscano una rinomanza retrospettiva -il pittore- le gallerie traboccano di cartoline natalizie di grande metratura. Dal soffitto al pavimento.
L'arte è troppo condizionata dal commercio?
I nostri pittori preferiscono dipingere un quadro scadente piuttosto che rinunciare ad una bottiglia di champagne o a una carrozza coi relativi cavalli."


Arte e Denaro. -Edvard Much-

Ammetto di aver tolto una frase. Per amore di verità la aggiungo ora: "Comprendono meglio l'arte gli aristocratici un pò pazzi e i sovrani".

Ho ceduto alla tentazione di eliminarla dallo scritto e aggiungerla in seguito per la personale avversione che ho per aristocratici e sovrani, e per la consapevolezza di quello che questi gruppi di potere, ora come in passato, ordiscono.

domenica 16 agosto 2009

Voi ci andreste?

Come sono tristi le serate di gala delle mostre di artisti famosi!
Sono piene come uova di uomini e donne ricchi ed altrettanto famosi nel settore, che girano per la sala bevendo vini costosi. Tutti con un'aria molto rilassata e soprattutto sicuri di sè.
Aristocratici, baroni, conti, duchi; grandi banchieri che hanno fatto favori a nazisti, a contrabbandieri e mafiosi ripulendo i loro soldi; critici che hanno fondato partiti politici molto amati da mafiosi e massoni, che vanno poi a dire che dove governano loro la mafia non c'è; uomini d'affari che lavorano in borsa; giornalisti e direttori di giornali che spesso cenano con tutti i personaggi appena detti e che solitamente preferiscono non parlare di argomenti scomodi riguardanti chi comanda. Tutte personalità potenti quindi.
Insomma, sono tutti quelli che da sempre hanno fatto di tutto per reprimere ogni pensiero che si permettesse di uscire dalla linea dettata dal potere costituito.
Entri, se ti fanno entrare e se hai lo stomaco abbastanza forte da sopportare la vista, e li trovi tutti li sorridenti e sicuri di se; forti nei loro vestiti costosi; basta un'occhiata e si capisce subito che quelle sono persone che non sbagliano, che non possono sbagliare, altrimenti non sarebbero tanto potenti; persone che non dubitano e mai hanno dubitato di niente!
Ma allora li che ci stanno a fare?
Il potere è ciò che più si allontana dalla realtà. Più il potere aumenta, più la realtà si allontana, più la corruzione cresce. Il potere, ogni potere, ha bisogno di mentire per crescere. Nel momento in cui un potente comincia a dubitare di aver ragione su tutto, sa che comincia la sua discesa e la sua lenta scoperta della realtà.
Paradossalmente solo chi non deve difendere nessuna autorità può dire la verità.
L'arte invece vive di dubbi, e di un lento percorso verso la verità.
A costo di fallire, anzi, con la certezza del fallimento, l'artista muove ogni passo verso una verità che sa di non poter raggiungere.
Un percorso pieno di incertezze, ma fiero dei propri dubbi.

Allora ripeto ancora: che ci fanno quei signori e quelle signore a quelle mostre definite d'arte?
Ogni grande organizzazione, ogni grande museo, ogni grande fiera, dal Guggenheim alla biennale di Venezia ha bisogno di tutti quei personaggi che vi ho descritto.
Ma allora vi domando: di tutto questo abbiamo proprio bisogno?
Ci andreste a chiedere un articolo ad un critico che sorride ed abbraccia mafiosi?
Accettereste una mostra pagata da una banca che si è arricchita finanziando il partito nazista?
E se accettiamo tuto questo, allora, riempiendoci la bocca di parole come creatività, libertà di espressione, arte, con che coraggio ci guardiamo la sera allo specchio?

Domando ancora: di tutto questo abbiamo davvero bisogno?
Siamo sicuri?

sabato 11 luglio 2009

Antonio Gramsci e l'arte contemporanea.

"E allora apriamo gli occhi.
Per esercitare il suo dominio, la borghesia, non ha sempre bisogno della coercizione, della violenza legale, del terrorismo di stato, come in Italia oggi.
Per imprigionare milioni di teste usa armi più sottili.
Da secoli ci ha persuaso e continua a persuaderci ogni giorno, che i suoi valori sono valori assoluti: famiglia, educazione, rapporti di lavoro, metodi di lotta politica.
L'ideologia borghese ha una risposta pronta per tutto, ed è una risposta capace di convincere, di assicurare il consenso, ma si, spontaneo, proprio di quelli che sono sfruttati, che sono anche ingannati nei sentimenti, nelle idee, fino al punto di sostenere il dominio dei loro stessi nemici.
L'egemonia della classe borghese, noi la respiriamo quotidianamente, come l'aria, è diventata senso comune nella coscienza di milioni di individui, ecco perchè prima ancora di conquistare il potere, prima, e non dopo, una classe rivoluzionaria deve diventare classe dirigente. Deve esercitare la sua egemonia per sottrarre alla classe borghese tutto un blocco di forze sociali.
Come? Strappando via via di dosso alle masse, anche le più arretrate, vecchie idee, pregiudizi, timori secolari, la fiducia e l'ossequio verso i gruppi dominanti.
Lo stato parlamentare al di sopra delle classi!
Il pricipio sacro della proprietà privata!
Questo è il cemento usato dal borghese per imprigionare milioni di teste.

Questo processo di egemonia oggi lo fanno tutti quelli che sono alla direzione nelle fabbriche, nelle banche, nella stampa, e ora anche alla radio; gli sceinziati, i preti. Per imporre alle masse idee e principi che fanno comodo alle classi dirigenti."

Antonio Gramsci.

domenica 7 giugno 2009

NURTURING WALLS e John Berger.


Vi consiglio di allargare il video per vederlo meglio.

domenica 24 maggio 2009

VORREI SAPERE COSA DICONO.

Mi domando, ora che il mercato ha finalmente dimostrato, a chi vuol vedere, di essere semplicemente una COLOSSALE CAZZATA, cosa hanno da dire gli artisti contemporanei che tutto il loro lavoro hanno costruito propio grazie a quel mercato.

martedì 14 aprile 2009

LA STORIA CONTINUA.

Avete presente il trattato di Lisbona?
In IL NUOVO IMPERO NAZISTA E' VICINO GRAZIE AL TRATTATO DI LISBONA
trovate un articolo in cui lo paragonavo al prosieguo dell'impero nazista.
Quello che non vogliono farci sapere, infatti, è che una costituzione europea come quella che arriverebbe se il trattato venisse accettato, cancellerebbe la sovranità delle costituzioni delle singole nazioni. Avrebbe quindi l'ultima parola su tutte le leggi e tutti i controlli in tutte le nazioni europee.
Chi controllerebbe e applicherebbe quella costituzione europea? La B.C.E., o banca centrale europea, più 27 rappresentanti delle nazioni europee, uno per nazione, non necessariamente eletti dal basso.
E' importante sapere che i vertici della B.C.E non sono eleggibili con votazioni e quindi non salgono al controllo in modo democraico, ma come in ogni società privata sono solo pochi potenti a decidere chi deve controllare la banca.
Si, perchè la B.C.E., come anche la banca d'Italia, è una banca privata.
Esatto, privata! Che quindi fa i suoi interessi e non quelli delle nazioni.

La costituzione europea, se dovesse entrare in vigore, oltre a prevedere la pena di morte in caso di insurrezioni o sommosse, senza però spiegare cosa si intenda per sommossa e cosa ad esempio per libera manifestazione, prevede anche l'uso della guerra come soluzione delle controversie internazionali.
L'articolo della costituzione Italiana che ripudia la guerra in ogni sua forma ed utilizzo perchè limite delle libertà, verrebbe quindi cancellato.

Nell'articolo che vi dicevo, tutto fa pensare che questa grande crisi monetaria mondiale a cui tutti assistiamo sia provocata e controllata in maniera scientifica dalle banche per fare dell'Europa la loro schiava.

Oggi ho trovato questa notizia, Boom delle armi Made in Italy. Il governo censura i dati sulle banche armate.
La cosa sembra logica.

La B.C.E. organizza la crisi per farci accettare nuove regole internazionali e convincerci ad accettare il trattato di Lisbona e la costituzione europea, ed ora ci offre la soluzione per uscire dalla crisi; investire nelle armi. In realtà è solo un modo per rafforzare il potere degli eserciti e dell'uso della guerra come prevede la costituzione che volgiono farci avere.

Ovviamente la volontà del governo è di non farci sapere, altrimenti la gente si ribellerebbe. Ma come abbiamo visto hanno considerato anche quello.

Non fatevi spaventare!
Anzi!

Sapete cosa vuol dire tuto questo?
Che di noi hanno una paura tremenda!

Volgiono controllarci in ogni modo, armato o falsamente democratico e preparano leggi ed accordi in segreto.
E perchè tutto questo se di noi non avessero paura? Perchè non provano ad arrivare ai loro traguardi a testa alta? Perchè non hanno il coraggio di parlare apertamente?

Perchè sanno che noi siamo molto più forti; perchè sanno che la loro volontà non è proponibile in nessuna civiltà e solo con la truffa e la violenza possono provare a controllare un potere molto più grande di loro.

Quindi l'unica cosa che veramante sanno, è di essere molto più deboli di noi, mentre quello che noi ancora non sappiamo, e di cui ora dobbiamo convincerci, è di essere estremamente più grandi!

lunedì 6 aprile 2009

domenica 5 aprile 2009

JOHN BERGER.



'Il miglior Caravaggio, forse, che c'è qui a Milano , a Brera, è Cristo nella casa di Emmaus.
In entrambe le storie, se volete, ci si concentra e si affronta la povertò e la rivelazione, o per dirla altrimenti apparte conoscere in dettaglio tutti i meccanismi per la propria difesa personale i ricchi oggi, e questa è una cosa precipuamente moderna iniziata venticinque anni fa, apparte quello, i i ricchi oggi non sanno nietne.
Perchè venticinque anni fa.
Perchè è il momento in cui il nuovo ordine economico mondiale ha avuto inizio con la caduta del muro di Berlino, un eufemismo, il crollo del sistema sovietico, in quel momento il caitalismo è entrato in una nuova fase, in cui la spesulazione finanziarea domina prendendo il posto della speculazione produttiva. Ora perchè affermo che i ricchi non sannonniente?
Perchè la prospattiva temporale di chi prende delle decisioni cruciali, che per lo più sono a noi anonimi, possiamo nominarne alcuni ma per lo più sono fondamentalmente anonimi, si inscrive in questo nuovo ordine economico mondiale ed è estremamente limitata.
Quasta mattina siamo andati a passeggiare a Milano e tra le altre cose siamo andati nella chiesa di san Anbrogio vecchia circa mille anni, e se entate in quella chiesa e pensate alla gente che l'ha costruita e di come è costruita, e non è un discorso cristiano quello che sto facendo ora, è un posto in cui possiamo vedere e sentire in modo palpabile qualcosa della gente, delle donne e dei bambini che sono vissuti mille anni fa, e vedere come vicini in qualche modo, e differenti in qualche altro modo sono a noi; e quei mille anni sono una distanza assolutamente ragionevole su cui riflettere, andando oltre potrei suggerire di guardare le pitture del periodo paleolitico vecchie di trentamila anni, e potrei andare nel futuro e dire, citando credo France Fernon, "quando nessuno morirà più di fame al mondo che avventura spirituale inizierà!" E questo è un pensiero sul futuro ovviamente.
Quelli che prendono le decisioni del capitalismo finanziaro e delle multinazionali quali prospettive hanno?
Politicamente, perchè la politica è molto importante per loro, il continuo obbbiettivo politico è di far diventare i cittadini dei consumatori obbedienti, e cone questa idea, senza la quale loro non possono sopravvivere, la loro massima prospettiva è la prossima elezione nella nazione che prendono in considerazione, se quella nazione è una in cui si possono avere delle elezioni.
Una volta riconosciuto questo cerchiamo di andare avanti, guardiamo qul'è il pericolo, perchè il pericolo è che noi spendiamo il nostro tempo e le nostre energie pensando e discutendo intorno a quelle parole, questa è una completa distruzione; è una specie di sedativo.
Ignoriamole!
Meritano solo di essere ignorate da noi!
Prenderle seriamente e spenderci energie e discutendo di loro, e avere conflitti a loro proposito tra di noi, e cos' di seguito, è esattamente l'abuso che vogliono farci, perchè questo ci distrae da quello di cui dovremmo pensare, che è qualcosa di non astratto, e che sono scelte a proposito di qualcosa di piccolo, a volta un pò più grande, che possiamo fare individualmete e collettivamente al livello di cui abbiamo parlato, perchè quello è il livello in cui riposano le iniziative!
Va bene, va bene, come sei ingenuo potreste dire!
Con quale organizazione? Come possiamo andare avanti? Come può andare oltre una piccolissima decisione familiare?
Pazienza!
Pazienza!
I grandi movimenti nella storia, iniziano sempre in una piccola parentesi che può essere chiamata 'nel frattempo',e ora siamo in quel 'nel frattempo', ma concentriamoci nell'esserci!!!'

domenica 29 marzo 2009

SECONDA LETTERA DALL'ASSESSORE ALLA CULTURA DI PIETRASANTA

Sign. Daniele Spina,

non sapevo se rispondere alla lettera che mi ha inviato, avendo letto in essa una sua estrema lontananza al pensiero di democrazia che io ritengo minimo per vivere in un paese civile.

Secondo lei solo una volta tolti tutti i testimoni si può decidere cosa sia vero e cosa no; praticamente quello che stavano cercando di fare, per esempio, i nazisti con i campi di concentramento, e se avessero vinto quei cari amici di Gelli, oggi non sapremmo la vera storia.
Questo è quello che da tempo in Italia, in molti, stanno cercando di fare con il fascismo. Il presente governo è un esempio molto chiaro.
Più passa il tempo e più è difficile trovare persone che hanno vissuto quel periodo e possono dirci quello che veramente è successo in quegli anni; più è difficile trovare i partigiani che hanno combattuto e più è facile farli apparire come dei banditi o dei criminali.
Il tempo non chiarisce la storia, ma la fa raccontare solo da chi detiene il potere di periodo in periodo.
Per questo motivo persone come Gelli possono fare oggi i loro congressi senza temere una vera rivolta; hanno modificato l'informazione e la percezione della storia a loro volere e ora cercano di parlarci di verità storica.

L'idea che lei sostiene nell'accogliere e dare voci ad ogni punto di vista per avere opinoni democratiche è assurda se sostenuta in buona fede , ma quanto minimo ipocrita se in mala fede. Non solo per il semplicissimo fatto che non siamo mai in grado di ascoltare tutti i punti di vista, ma in ogni situazione il tempo e lo spazio saranno sempre limitati e ci costringeranno a scegliere un gruppo di idee e di persone e con quelle discutere, e quindi il numero di interventi sarà sempre solo una parte delle migliaia di punti di vista che possiamo trovare. Lei questo come assossore lo sa bene immagino.
Ma oltre a questo è l'idea di imparzialità che lei esprime che risulta apparire quasi in malafede.

La democrazia non è essere imparziali; non è prendere la stessa distanza da tutte le idee; non è accettare ogni punto di vista in modo neutrale.
La democrazia è una presa di posizione contro ogni tipo di fascismo!
La democrazia è tirare una linea ben precisa e distaccarsi da ogni corruzione o autoritarismo e partendo da li discutere in maniera equilibrata su come ampliare ancora il distacco.
Far credere che sia giusto dare lo stesso spazio a fascisti e antifascisti, tanto per fare un esempio semplice, è malafede, è il tentativo di cancellare le colpe degli uni ed i diritti degli altri in nome di una visione distaccata della storia; e proprio per avere questa visione opportunistica c'è bisogno che nessuna delle persone che la storia l'hanno vissuta siano in grado di parlare.
Questo era il sogno di ogni nazista davanti ai campi di concentramento. La storia la diremo noi, pensavano, ed anche se qualcuno parlerà non sarà creduto perchè quello che abbiamo fatto va oltre ogni immaginazione.
Lei dice di aver accolto anche stragisti di sinistra a parlare nelle stesse aule. Ma così facendo fa il gioco di Gelli: opporre fascismo e brigatismo. Tirare di nuovo fuori il fantasma del comunismo cattivo e rivalutare il fascismo a cui si vuol trovare anche meriti.
In parole povere ridurre l'idea di democrazia a due aree, entrambe colpevoli, con cui occupare l'attenzione delle persone e distrarla da cosa veramente ha permesso all'Italia di diventare una democrazia; intendo dire l'antifascismo, cosa che come lei saprà è ben lontana dalle brigate rosse o dal comunismo sovietico.
Lei e la sua carica pubblica dovete la vostra libertà proprio all'antifascismo su cui si basa la nostra Costituzione.
Certo per capire l'antifascimo non basta prendere un Gelli da un lato ed un comunista dall'altro, ma ci vuole la presa di coscienza che di personaggi come Gelli in Itali, e su palchi comunali non c'è spazio.
Le ripeto, democrazia non è l'illusione di poter prendere le stesse distanze da destra e sinistra; democrazia è in primo luogo la coscienza che la nostra libertà si basa sull'antifascismo e che ogni carica pubblica è chiamata a difenderlo tanto quanto la costituzone che dall'antifascismo è stata costruita.
Il suo modo di gestire gli incontri invece chiarisce un intento di spostare il baricentro della discussione verso l'idea che anche chi ha fatto di tutto per toglierci la libertà che con tanto dolore ci eravamo conquistata, aveva le suo buone ragioni.

Lei accenna a Montanelli, ma è una scusa che non sta in piedi. Così come voler far credere che Gelli sia solo un vecchio in pensione che non fa più male a nessuno.
Veramente vuole paragonare il diritto di cronaca che spinge i giornalisti ad intervistare tanto Gelli quanto ad esempio un qualsiasi bandito di mafia, al celebrare in forma ufficiale la figura di Gelli in un incontro organizzato da un comune che lo fa salire su di un palco con tanto di applausi?

Lei conclude la sua lettera con frasi che farebbero molto contento tanto Gelli quanto il presente governo che da tanto sta cercando di togliere potere ad ogni etica civica ed ogni morale attiva. Cose che dovrebbero essere il minimo requisito per un qualunque cittadino degno di vevere in una società civile.
Dice che i processi si fanno in tribunale e che i giudizi morali vanno bene in chiesa.
Toglie quindi ogni forza di indignazione ai cittadini lasciandoli muti davanti al potere!
Secondo lei quindi non dovremmo avere un'etica o una morale, ne dovremmo indignarci e giudicare una persona per quello che di lei già sappiamo bene? Etica, morale e giudizio dovrebbero avere i rispettivi luoghi, chiusi bene tra mura lontane, controllati da questa o quella autorità, e soprattutto lontani dalla piazza, lontani dal luogo in cui le idde della vera democrazia prendono forma e si rafforzano, la piazza comune in cui le opinioni del singolo possono raffrontarsi con la società liberi da istituzioni, autorità, palchi e dediche.
Sono tutte calunnie dei giornali si sente troppo spesso dire, proprio da chi i giornali sa come si controllano, e Gelli quanto i suoi amici al governo sanno bene come manovrarli.
E lei mi viene a dire che i processi si fanno in altre sedi così come i giudizi morali, per far vedere che la sua amministrazione è pubblica se da voce a tutti?
Un'amministrazione non è buona se tratta allo stesso modo criminali e persone oneste che contro quei criminali si battono, ma deve ben distaccarsi da quelle persone e chiarire la sua posizione nei loro confronti.
Ospitare nelle proprie stanze chi continua a volere l'Italia sotto una schifosa dittatura fascita, e voler far passare tutto come un gesto democratico, già chiarisce molto bene quale giudizio e quale etica viva in quella amministrazione.

Come vede non sono un bravo oratore e quindi su un palco non avrei ascolto quanto un Gelli. Lei leggerà le mie parole come idee passate, o concetti vuoti, ma è proprio organizzare una serata come quella con Gelli che aiuta a convincere la persone che etica e coscienza civile ed antifascista siano ormai idee passate. Quindi il mio giudizio e la mia etica mi vietano di restare indifferente.

Anche credendo lei sia in buona fede, ci si accorge della sua incapacità nel capire di cosa veramente sia fatta la democrazia e la libertà di espressione, se poi il suo gesto invece fosse ben studiato, allora vorebbe dire che sa bene che in questo modo sta solo aiutando il novo potere fascista ad essere accettato supinamente dalle persone che invece lei dovrebbe difendere.

Fino ad ora lei ha solo dimostrato di non essere una figura chiara, e non adatto, o per incapacità o per malafede, al potere che gestisce, e non riesco a passare oltre senza dirle che il suo operato è tanto offensivo nei miei confronti e nei confronti della nazione quanto degno di diprezzo.


-Claudio Cecchetti-




Sig. Cecchetti,
dal momento che nè io conosco lei né lei me non ho motivo di pensare che lei non sia in buona fede (come lei dovrebbe -credo- pensare di me). Condivido e approvo molte delle cose che afferma e non mi sono mai sognao di affermare che non si deve scrivere e far conoscere fatti e misfatti finché sono in vita i protagonisti: mi spiace essere stato frainteso. Ho soltanto affermato che i fatti sono cronaca fintanto che sono in vita i protagonisti: non sono io ad affermarlo ma tutti gli storici di qualsivoglia credo politico. Noi condividiamo molte idee ma ci divide profondamente una: la democrazia non si fonda sull'antifascismo bensì sull'antifascismo e sull'anticomunismo perché c'è stato in passato e c'è ancora fascismo di destra e fascimo di sinistra.
Dimenticavo... Io non disprezzo le sue idee: solo non le condivido.
Daniele Spina




Non mi disprezza ma non mi condivide.

Voi ve la sentireste di dire lo stesso di Gelli?
Perchè questo è quello che la risposta dell'assessore sembra suggerire.
Invece credo che si può non condividere l'idea di Gelli e non rispettarla.
Per me è la dimostrazioen che Gelli ed i suoi amici stanno vincendo, stanno assuefacendo tutte le coscienze fino a dire che certe idee si possono non condividerle ma vanno comunque rispettate e non disprezzate.
Ci tengo a sottolineare come nella sua risposta l'assessore non entra nel merito del perchè scegliere certi personaggi ma cade nella divisione che fa molto comodo a Gelli stesso, affiancare subito al fascismo il comunismo, e all'altifscismo l'anticomunismo, in modo di assuefare le colpe dell'uno e dell'altro.

Nella mia lettera non parlavo certo a favore del comunismo, ma prendevo una posizione ben decisa sul non accettare come rispettabile l'idea di chi per una vita intera si è impegnato a ridurre in una dittatura l'Italia e si sta ora vantando di aver avuto successo con il suo colpo di stato.
Proprio su questo l'assessore non da un risposta chiara.
Certo se arriva ad inviare Gelli ed amici non arriverà ad ammettere che è un insulto a tutta Italia ed a tutti quelli, comunisti e no, partigiani e no, che hanno perso la vita per liberarci.
Voi avete voglia di accogliere gentilmente un insulto del genere rispondendo che non lo condividete ma lo accettate? Io no, le cose vanno chiamate con il proprio nome, e se degne di disprezzo, disprezzate.
Queste uscite pubbliche di Gelli non sono altro che il continuo del suo colpo di stato non armato, e chiunque lo aiuti o lo asseconda va chiamato con il nome che si merita, che non è certo paladino della democrazia.
In pratica la risposta mi ha confermato l'idea che avevo.
Per questo signore la democrazia è sorridere anche ai peggiori criminali, non avere idee solide, e minimalizzare tutta l'idea di libertà alla diatriba di antifascismo ed anticomunismo, tanto da arrivare a ipotizzare che anche i carnefici hanno avuto le loro buone ragioni e bisogna ascoltarle.
Insomma come si prova a parlare dei crimini di Gelli e dei neofascisti arriva subito la risposta che si ma anche i comunisti hanno fatto del male!
Come a dire che i partigiani sono stati pericolosi comunisti di cui non fidarsi.
Chiedevo all'assessore un parere distaccato su Gelli e la libertà in Italia e mi sono sentito rispandere con la vecchia storiella che piace tanto a Gelli stesso, che anche i comunisti hanno avuto le loro colpe e che quindi la democrazia in Italia c'è grazie anche agli anticomunisti.
Tanto per volerci abituare all'idea che in fondo anche le idee di Gelli erano condvisibili.
Ancora nella risposta viene ribadito che si può avere una idea chiara sulla storia solo quando tutti i protagonisti non possono più parlare.
Personalmente so che nessun periodo storico può avere una valutazione onesta se non c'è una informazione libera e fino a che persone come Gelli saranno ben volute nei comuni non avremo libertà.
Diceva Orwell che chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato.
Il sogno della P2 è proprio quello di controllare ogni tempo per scrivere la storia come vogliono; che i testimoni ci siano o no per loro non conta tanto.

Anche voi quindi direste come l'assessore che non ne condividete le idee ma vanno comunque rispettate e non disprezzate?
Sappiate allora che fate proprio il gioco di chi ci vuole tutti controllati.

Ma non avevo ancora visto di quale partito è la giunta comunale! Sono andato a vederelo solo ora!
Il sindato è uno dei primi sostenitori di F.I. e l'assessore è D.C. due partiti che ormai da tempo continuano a fare propaganda facendo l'occhiolino ai fascisti ed ai massoni e cercando di spaventareci con lo spettro del comunismo, tanto da chiamare i partigiani dei criminali.
Ora tutto mi sembra più chiaro, riscrivere la storia è quello che stanno cercando di fare da tempo.
E io non li rispetto. Non posso permettermelo. Sarebbe come essere indifferente davanti alle ingiustizie, e in quel modo li aiuterei nel riabilitare tutta la storia fascista e nazista.
L'afferrmazione poi che la democrazia non si fonda solo sull'antifascisom ma anche sull'anticomunismo è quindi la tiritera che da quando il governo di ora è in carica ci sentiamo ridire.
Allora chiariamo che la Costituzione, e quindi la base dalla democrazia in Italia, è starta scritta grazie all'antifascismo ed è l'antifascismo che ci ha permesso di ottenerla.
In Italia di crimini comunisti non se ne erano visti e non c'era certo la necessità di allarmarsi tanto da creare un anitcomunismo.
L'anticomunismo a cui si riferiscono sempre Gelli e governo è quello delle brigate rosse.
E qui casca l'asino. Troppo facile signori, voler appaiare in questo modo le colpe dei fascisti con gli errori di un piccolo gruppo di fanatici. Ed infatti sempre li battono questi signori, sull'unico spunto che hanno, volendolo ampliare tanto da paragonarlo ad un grimine organizzato come il fascismo che si era espanso in tutta europa tanto da fare da scintilla per il nazismo ed i lager.
Non sono paragoni esagerati.
Prendere poi le brigate rosse.
Avete presente il Reichstagsbrand? Hitler che si brucia il parlamento uccidento alcune persone e accusando subito il terrorismo comunista.
Guardate la storia della brigate rosse studiatela voi stessi e no fatevela raccontare da chi la può usare per spaventarci.

Diffidate quindi da chi in nome della democrazia vi sventola ancora davanti lo spettro del comunismo e delle brigate rosse, vi dice che le colpe in Italia stanno da tutte e due i lati, ed intanto fa salire su un palco massoni e fascisti.

Molto interessante poi l'idea di far parlare di storia d'Itlaia un personaggio che ha nella sua trasmissione televisiva, presentato dei diari di Mussolini falsi, non solo come veri, ma come opere di una grande mente.

Per quanto rigurada l'idea dell'assessore che storici di tutte le appartenenze politiche sostengano che i fatti sono cronaca e non storia fino a quando sono in vita i protagonisti, vorrei far conoscere lo storico Luciano Canfora della cui serietà è difficile dubitare e che sa benissimo come anche la cronaca si facile da distorcere e come togliere ogni testimonianza sia il sogno di ogni dittatore.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-bdb3292a-9a9b-4b9f-84c6-1eb99c57aa9b.html?p=3
Continua a venirmi in mente una parte di una poesia:

"[...]
L'intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,

di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.
[...]"

-Per Paolo Pasolini-

domenica 22 marzo 2009

LETTERA DALL'ASSESSORE ALLA CULTURA DI PIETRASANTA

Il 12 marzo Licio Gelli ha partecipato alla presentazione del libro di Mola su Gelli e la P2, nel chiostro di san. Agostino a Pietrasanta.
Ho subito scritto una lettera all'assessorato alla cultura di Pietrasanta che organizzava il convegno per dir loro di vergognarsi.
Dopo circa dieci giorni l'assessore alla cultura mi risponde inviando copia della lettera anche a tale Alessia Lupoli, sempre dello stesso comune.

Qui sotto trovate le due lettere ed in conclusione dello scritto, la cronaca della contestazione che ha obbligato Gelli ed i suoi amici a entrare dal retro per cominciare la conferenza.

from Claudio Cecchetti
to urp@comune.pietrasanta.lu.it
date Thu, Mar 12, 2009 at 1:00 AM
subject: Per l'Assessorato alla cultura: VERGOGNATEVI.
mailed-by gmail.com


Buonasera.
Vi scrivo solo per l'incapacità personale di rimanere zitto davanti alle ingiustizie ed alle prepotenze.

Una semplice comunicazione diretta tra cittadino ed istituzione, cosa a cui sembra non siate abituati, per dirvi che la presentazione del libro su Licio Gelli da voi organizzata per il 12/3/2009 chiarisce molto bene il vostro pensiero, in linea con quello di Gelli: continuare a impaurire le persone con lo spettro del comunismo e delle brigate rosse, usando toni qualunquisti per mettere le due cose sullo stesso livello. Cosa che Gelli continua a fare nella sua trasmissione televisiva.

Se vi accusassi di fascismo credo che non vi offendereste nemmeno.

İn questo modo avete chiaramente voluto onorare l'immagine di personaggi che per anni hanno insultato non solo l'immagine del socialismo, del comunismo italiano e della resistenza, ma hanno anche riportato in forza il potere fascista, avuto connessioni con personaggi mafiosi, fatto pagare ad una intera nazione i propri errori mentre le loro tasche si arricchivano, ma soprattutto sono responsabili di crimi come il depistaggio stragista.
Ma queste cose le sapete bene.

Probabilmente vi crederete molto superiori a queste mie indignazioni; immagino le riteniate cose da provinciali o da idealisti perdenti che non sanno fare altro che protestare perchè sono solo invidiosi. Questo vostro atteggiamento dimostrerebbe solo la verità delle mie idee nei vostri confronti.

Ma la mia onestà mi vieta di passare oltre senza alzare la testa e dirvi come sia vergognoso il vostro operato.

Solo un consiglio.
Sappiate che le persone di cui dimostrate essere amici e da cui immagino vi sentiate onorati di essere in contatto, quelle persone che con tanti sorrisi entrano nel vostro circolo a parlare e che sembrano tanto buone nei vostri confronti, non esiteranno a rovinarvi se vi azzarerete ad andare contro a qualunqe loro interesse. Lo hanno già dimostrato in precedenza; con loro o si abbassa la testa sempre o si diventa estremi nemici da liquidare senza esitazione; ed anche obbedendo agli ordini saranno sempre pronti ad insultarvi e rinnegarvi appena arriverà un miglior offerente.
Di sicuro penserete che non è questo il vostro caso.

La vostra maschera di democraatici che vogliono far sentire tutte le voci, anche quelle più scomode, è solo un atteggiamento meschino che fa presa solo su bigotti, fascisti o chi non sa come sia andata la storia.

Democrazia non è stare sempre in mezzo o al di spra delle parti per prendere le stesse distanze a tutti; democrazia è prendere una decisa posizione ETİCA e prendere bene le distanze da chi come Gelli ha sempre tentato e riuscito a tagliare ogni diritto alla libertà.

Ogni parola che non sia pura indignazione contro persone come Gelli è un İNSULTO ALL'İNTERA NAZİONE.

Con disprezzo estremo.

-Claudio Cecchetti-


from Daniele Spina
to cecchetticlaudio@gmail.com
cc Alessia Lupoli
dateSun, Mar 22, 2009 at 8:34 PM
subject R: VERGOGNATEVI
mailed-by hotmail.com

Preg.mo sig. Cecchetti,
sono Daniele Spina, assessore alla cultura del Comune di Pietrasanta.
Essendo io il responsabile dell'organizzazione della presentazione del libro del prof. Aldo Mola "Gelli e la P2", mi è stata girata -per competenza- la sua mail di protesta.

L'intento è stato quello di "conoscere" la verità "storica" dei fatti a ormai trent'anni dal loro svolgimento (le virgolette e il corsivo si devono al fatto che occorre che siano trascorsi dai fatti almeno cinquant'anni per poterne fare un'analisi storica, occorre, cioè, che nessuno di coloro che vissero quei fatti in prima persona sia più in vita).

Non è questo il caso della P2, sia perchè -lo ripeto- è trascorso solo un trentennio, sia,
soprattutto, perchè gran parte dei protagonisti è ancora viva, a cominciare da Gelli stesso, appunto.

L'incontro avrebbe dovuto servire a dare ai presenti un'idea del libro di Mola prima di tutto, perché l'occasione era appunto la presentazione del libro e, in via secondaria ma altrettanto importante -ritengo- dare la possibilità ai convenuti di farsi un'opinione personale di quel controverso personaggio che è stato ed è forse tutt'ora Licio Gelli. Persino il più grande giornalista degli ultimi cinquant'anni, ossia Indro Montanelli, sentì il bisogno di andare a parlare con Gelli e ne riportò l'impressione che quello che per i più era il Grande Vecchio della politica italiana, il burattinaio, il manovratore, altro non fosse -in realtà- che un "farabolano" (la definizione non è mia ma -appunto- di Montanelli).

A Pietrasanta è stato organizzato lo scorso anno un convegno sul '68 in ricorrenza del quarantennale cui ha partecipato con nostra gioia anche Marco Boato, fondatore insieme a Mario Capanna del Movimento studentesco; è stato ospitato al caffè della Versiliama Morucci, stragista e condannato per l'uccisione della scorta di Aldo Moro; è stata ospitata la proiezione (nella stessa Sala dell'Annunziata in cui si è tenuta la presentazione del libro di Mola) del film di Claudio Lazzaro "NAZIROCK" che è una denuncia contro i giovani dell' estrema destra di Forza Nuova; a Pietrasanta -mi auguro- saranno sempre ospitate le voci di tutti per dare a tutti la possibilità di CONOSCERE: i processi si fanno in altre sedi (le aule dei tribunali) e i giudizi morali si formulano in altre sedi (Chiese varie): la pubblica amministrazione è pubblica se dà voce a tutti e non è asservita a questa o quella parte.

Questo ho sempre fatto durante il mio servizio e questo farò finchè me ne sarà data la possibilità.
Spero di poterla incontrare al prossimo incontro pubblico.

Cordialmente
Daniele Spina


LICIO GELLI CONTESTATO A PIETRASANTA, INTERVIENE LA POLIZIA
PIETRASANTA (LUCCA) - Attimi di tensione a Pietrasanta dove l’ex gran maestro della P2, Licio Gelli, intervenuto nel chiostro di Sant’Agostino per la presentazione di un libro dello storico Aldo Mola, è stato contestato da un gruppo di manifestanti appartenenti a gruppi della sinistra antagonista. In circa 200, hanno prima protestato per la presenza di Gelli all’iniziativa, poi hanno attuato un presidio in piazza Duomo esponendo striscioni, intonando canzoni simbolo come ‘Bandiera rossa’ e declamando slogan. Tensione c’e’ stata quando le forze dell’ordine hanno tentato di muovere un furgone della polizia; alcuni manifestanti si sono seduti di fronte al veicolo per non consentire la manovra. Invitati ad alzarsi, sono invece rimasti a terra e la polizia li ha spostati di peso. Gli altri manifestanti si sono avvicinati e la polizia ha operato per evitare il contatto. Poi e’ stata ristabilita la calma, quindi i manifestanti sono stati fronteggiati da un cordone di poliziotti e carabinieri. Gelli, per accedere al chiostro, è stato fatto passare da una porta secondaria. In piazza c’era anche una ventina di giovani del centrodestra.



Secondo questi signori solo una volta tolti tutti i testimoni si può decidere cosa sia vero e cosa no; praticamente quello che stavano cercando di fare i nazisti con i campi di concentramento, e se avessero vinto loro oggi non sapremmo la vera storia.
Questo è quello che stanno cercando di fare con il fascismo. Più passa il tempo e più è difficile trovare persone che hanno vissuto quel periodo e posso dirci quello che veramente è successo in quegli anni; più è difficile trovare i partigiani che veramente hano combattuto e più è facile farli apparire come dei banditi o dei criminali.
Il tempo non chiarisce la storia, ma la fa raccontare solo da chi ha il potere di periodo in periodo.
Per questo motivo questi signori possono fare oggi i loro congressi senza temere una vera rivolta, hanno modificato l'informazione e la percezione della storia a loro volere e ora cercano di parlarci di democrazia.
L'idea di accogliere e dare voci ad ogni punto di vista per farsi vedere democratici è pura ipocrisia. Non solo per il semplicissimo fatto che non siamo mai in grado di ascoltare tutti i punti di vista, ma in ogni situazione il tempo e lo spazio saranno sempre limitati e ci costringeranno a scegliere un gruppo di idee e con quelle discutere, e quindi il numero di interventi sarà sempre solo una parte delle migliaia di punti di vista che possiamo trovare.
Ma oltre a questo è l'idea di essere imparziali che risulta in assoluta malafede.
La democrazia non è essere imparziali; non è prendere la stessa distanza da tutte le idee; non è accettare ogni punto di vista in modo neutrale.
La democrazie è una presa di posizione contro ogni tipo di fascismo!
La democrazia è tirare una linea ben precisa e distaccarsi da ogni corruzione o autoritarismo e partendo da li discutere in maniera equilibrata su come ampliare il distacco.
Far credere che sia giusto dare lo stesso spazio a fascisti ed antifascisti, tanto per fare un esempio semplice, è malafede, è il tentativo di cancellare le colpe degli uni ed i diritti degli altri in nome di una visione distaccata della storia; e proprio per avere questa visione opportunistica c'è bisogno che nessuna delle persone che la storia l'hanno vissuta siano in grado di parlare.

Questo era il sogno di ogni nazista davanti ai campi di concentramento. La storia la diremo noi, pensavano, ed anche se qualcuno parlerà non sarà creduto perchè quello che abbiamo fatto va oltre ogni immaginazione.
Queste sono le radici delle idee di chi organizza incontri come quello in questione.
Lascio a voi le considerazioni a proposito.
Personalmente trovo la lettera dell'assessore degna di un nazista.
Un nazista gentile e cordiale, ben educato e sempre attento alle pubbliche relazioni soprattutto con chi non conosce bene, non si sa mai che potesse essere qualcuno da tenersi buono. O magari qualche ingenuo da indottrinare.

lunedì 16 marzo 2009

ALLARME ACQUA.

Intervista al Prof. Emilio Molinari.

http://www.youtube.com/watch?v=toIOrHhUlxQ

Il Professor Emilio Molinari all'Università Statale di Milano.


http://www.youtube.com/watch?v=1tJgimYuW_A

Il decreto 23 bis
Il decreto legge, il 23 bis è intitolato "Servizi pubblici locali di rilevanza economica", nel testo si legge:

"2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite[...]

5. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.[...]

(10. d.) tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua."


Qui trovate il testo della legge.
http://www.camera.it/parlam/leggi/08133l.htm

Per chiarire meglio la situazione, questa legge è quella che privatizza anche le scuole.

Ad Istanbul tra il 16 ed il 22 marzo avrà luogo il World Water Forum per discutere il futuro della gestione dell'acqua.
http://www.worldwaterforum5.org/

Giornali e televisioni quanto ne hanno parlato?
E quanto hanno invece parlato di cose inutili come pettegolezzi e storie di personaggi che non hanno niente a che fare con le nostre vite?

La gestione dell'acqua è la gestione della vita sul pianeta terra. Nessuno può sopravvivere senza, e se continuiamo di quest passo la gestione dei rubinetti sarà in possesso di persone di cui nemmeno sappiamo il nome e che non possiamo contattare, come invece dovrebbe essere naturale poter fare.

mercoledì 25 febbraio 2009

RELIGIONE PERSONALE.

Ma proprio personale personalissima.

Come sento nominare qualunque personaggio della bibbia o della cultura cristiana, mi arriva un odore al naso.
E' un odore ben preciso. L'odore di una stanza di cui ho un immagne ancora molto chiara.
Ho studiato dalla prima elementare fino alla quinta liceo in una scuola cattolica. Sempre la stessa scuola, lo stesso palazzo, le stesse scale, per tredici anni.
Le elementari erano al terzo piano, le medie al secondo ed il liceo al primo, dove erano anche la segreteria e gli uffici del rettore e del preside.
Crescendo quindi ci si avvicinava semrpe più a terra e sempre più alle stanze del potere e del controllo. Stanze silenziose, quasi sempre chiuse a chiave e quasi vuote.
In alto invece le elementari, erano come un mondo a se. Lontane dai rumori della strada, nessuno dei preti che gestivano la scuola passavano mai di li, ed eravamo accuduti dalle maestre delle aule.
Dalla prima alla quarta elementare avevamo sempre la stessa aula e la stessa maestra.
Di quel perido e di quella stanza mi ricordo tanto sole e suoni limpidi!
Arrivati in quinta però si passava nell'aula di un maestro che era anche prete.
Questo maestro prete, però, già dagli anni precedenti, ci faceva catechismo una volta alla settimana.
Venivamo accompaganti dalla nostra maestra nell'ultima delle aule in fondo al corridoio; a me sembrava lontanissima, addirittura affacciata sull'altro lato del palazzo; una realtà appartenente quasi ad un'altra concezione di spazio;
ed ora come sento dire il nome di un qualsiasi santo della formazione ufficiale, mi torna immediatamente al naso l'odore di quell'aula.

E' odore di polvere, ma una polvere quasi fresca, forse per la muffa, la polvere di una stanza che non viene riscaldata ed in cui nessuno entra se non una volta ogni tanto; una stanza piccola e stretta, con tutte le finestre e le persiane sempre chiuse perchè durante le spiegazioni ci venivano fatte vedere delle diapositive: c'era un poriettore di quelli a due fessure, che mentre in una vedi una foto nell'altra devi togliere la foto precedente ed infilarci quella successiva.
E' odore della cattedra su cui c'era sempre un posacenere con una sigretta lasciata accesa ed una bottiglia di vino con un bicchiere. Semrpe. Non per modo di dire, proprio sempre.
E' l'odorre del ferro delle panche su cui sedevamo, l'odore di tutte le cose che in quella stanza erano ammucchiate. Tende pesanti e scure, scatole di cartone, mobili da accomodare, qualche attrezzo che non sapevamo a cosa servisse e che probabilmete era li per sbaglio.
Ma soprattutto è l'odore di sculture di santi in gesso, grandi e piccoli, con le aureole di filo di ferro, appoggiati in giro per la stanza. L'odore della polvere che su quei santi si era accumulata col tempo, e che di li si staccava quasi stupita al nostro passaggio.
L'odore della vernice massiccia e pesante con cui erano dipinti, e l'odore della paglia delle scatole in cui venivano chiusi e ritirati fuori ogni tanto.
E' l'odore dei manifesti di carta attaccati alla pareti che raffiguravano quegli stessi personaggi, ora in questa ed ora in quella situazione. E'l'odore della carta porosa dei fogli che ci venivno dati all'ingresso e su cui erano scritte le preghiere del giorno.

Insomma è un odore del tempo e dello spazio che stanno dietro le rappresentazioni ufficiali; dove i tappeti vengono srotolati e battuti bene e le sale sono illuminate dal riflesso di colleane ed anelli lasciati li in atteza della prossima celebrazione per essere indossati.

Se poi non solo sento nomiare temi o personaggi del panorama cristiano, ma il discorso si approfondisce nelle loro azioni o va a sottolineare date e simboli delle loro storie, allora l'odore aumenta quasi a diventare solido e le immagini si chiariscono, pur sempre rimanendo scure.